Quando l’odio passa dalla tastiera al muro

Ad Alghero è bastata una scritta di ignoti su una cinta muraria per accendere l’allarme. “Ebreo razza bastarda”, inciso su un muro, non è una bravata. È antisemitismo puro. È l’eco di una propaganda che nasce online e finisce sulle nostre strade.

In rete da settimane circola una vignetta che mette a confronto la bandiera nazista con quella israeliana. Un parallelo velenoso, che accosta la Shoah alla politica dello Stato ebraico. Non è critica: è odio travestito da paragone storico. E la prova è nel salto che fa dall’immagine al cemento, dal meme al quartiere.

Il caso di Alghero non è isolato. In tutta Europa il fenomeno cresce. A Parigi l’ufficio della compagnia El Al è stato imbrattato con la scritta “genocide airline”. In Polonia hanno deturpato un memoriale dell’Olocausto con graffiti che equiparano Gaza al 1943. In Gran Bretagna, dopo un concerto al Glastonbury con slogan anti-israeliani, gli episodi antisemiti sono schizzati. Perfino YouTube registra numeri folli: +4.963% di insulti antisemiti dopo l’attacco di Hamas.

Gli esperti lo chiamano “inversione dell’Olocausto”: la vittima trasformata in carnefice. Un cortocircuito che banalizza la storia e giustifica l’odio. Deborah Lipstadt, ambasciatrice americana contro l’antisemitismo, ha parlato di “normalizzazione dell’antisemitismo”. Non più fenomeno marginale, ma discorso quotidiano nelle nostre democrazie.

Perché accade? Per tre ragioni semplici. Primo: ignoranza. L’idea che Israele e nazismo siano la stessa cosa si regge solo sul vuoto di conoscenze storiche. Secondo: strumentalizzazione. Il conflitto in Medio Oriente diventa alibi per rigurgiti di odio in Europa. Terzo: algoritmi. I social premiano le urla, non le ragioni. E l’odio, si sa, urla sempre più forte.

Alghero non fa eccezione. Un muro imbrattato basta a dire che il problema è qui anche se non generalizzato, non altrove. Le scritte vanno cancellate, certo. Ma serve di più: serve ricordare, educare, reagire. Perché l’antisemitismo non è un reperto da museo. È un veleno vivo, che se non viene neutralizzato avvelena il presente e prepara il futuro.

Meglio affrontarlo adesso, quando è “solo” un graffito. Perché domani, se restiamo indifferenti, rischiamo di ritrovarci con l’odio non più sui muri, ma dentro le case e penseremo che sia anche giusto provarlo.

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