Petrodollaro: l’arma silenziosa di Washington

Dietro i cliché dei meme sull’America che “esporta democrazia” non c’è tanto il petrolio, quanto il meccanismo economico che lo governa. Il petrodollaro non è una valuta fisica, ma un sistema. Il principio è semplice: il greggio, ovunque estratto, si paga in dollari. Arabia Saudita, Kuwait, Emirati, fino a ieri tutti – salvo eccezioni temporanee come la Russia – hanno seguito questa regola.

Perché? Per convenienza e per storia. Da un lato, il dollaro è la valuta di riferimento globale: il 90% delle transazioni valutarie lo utilizza, e tenerlo in riserva è percepito come garanzia di stabilità. Dall’altro, c’è un patto preciso: nel 1974, dopo la crisi petrolifera scatenata dalla guerra dello Yom Kippur, Henry Kissinger e il re saudita Faisal sancirono l’Accordo del petrodollaro. Riad avrebbe venduto petrolio solo in dollari, ricevendo in cambio armi, protezione e investimenti.

Da allora, il ciclo è diventato automatico. Il Giappone compra greggio saudita in dollari; quei dollari tornano negli Stati Uniti sotto forma di acquisto di titoli del Tesoro, azioni e investimenti. Washington ottiene così capitali esteri per finanziare esercito, industria e welfare, mantenendo la supremazia globale senza muovere un carro armato.

Il rovescio della medaglia è che il sistema impone agli USA un costante deficit commerciale: devono spendere più dollari di quanti ne incassino per alimentare la circolazione globale della valuta. È uno dei motivi del loro debito pubblico monstre.

Oggi il meccanismo mostra le prime crepe. Russia, Iran e altri vendono in valute alternative; i BRICS ragionano su un “petroyuan”, ma il renminbi è ancora marginale nelle riserve mondiali (meno del 3%). Perfino l’Arabia Saudita ha valutato vendite in yuan, seppur senza abbandonare il dollaro.

Non è il crollo, ma la geoeconomia si muove. Il petrodollaro ha garantito mezzo secolo di primato statunitense, legando la stabilità mondiale alla Federal Reserve. Se il petrolio dovesse perdere centralità o se emergesse un’alternativa credibile, l’arma più silenziosa di Washington potrebbe perdere parte del suo potere. Fino ad allora, per comprare energia nel mondo, serviranno ancora i dollari. E chi li stampa, detta le regole.

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