Lavoro precario e salari da fame in Sardegna

Un fattore cruciale alla base di questa situazione è la precarietà lavorativa. Anche chi resta in Sardegna spesso non trova un lavoro stabile e ben retribuito. I dati sul mercato del lavoro isolano sono impietosi: appena l’11,2% delle nuove assunzioni nel 2023 era a tempo indeterminato?. In altre parole, quasi 9 contratti su 10 sono a termine, part-time o comunque precari. Le aziende (soprattutto nel turismo, commercio e servizi) preferiscono flessibilità massima: stagionali per l’estate ad Alghero, contratti brevi nel settore agroalimentare, collaborazioni occasionali. Per le donne è anche peggio: quasi il 45% delle lavoratrici sarde ottiene solo contratti precari (contro il 41% degli uomini)?, e moltissime sono costrette ad accettare part-time involontari pur di lavorare. Il 16% degli occupati nell’isola è part-time “forzato” (dato secondo solo alla Sicilia a livello nazionale)?, segno che chi vorrebbe un full-time spesso non lo trova.

La disoccupazione, specie giovanile, resta alta. Tra i 15-24enni sardi il tasso di occupazione è appena il 18,5%?

– ciò implica che oltre l’80% dei giovani non lavora (perché disoccupato o inattivo, magari ancora studente). E di quei pochi occupati under-25, nove su dieci hanno un impiego precario?

. Praticamente è rarissimo che un ragazzo sardo esca da scuola o dall’università e trovi subito un posto fisso nella sua terra. Molti passano da uno stage all’altro, o da una stagione turistica all’altra. Il risultato è un costante senso di incertezza: impossibile pianificare il futuro, chiedere un mutuo, mettere su famiglia se sai che il tuo contratto scade tra 3 mesi. Non sorprende che l’età media del primo figlio in Sardegna sia salita oltre i 32 anni, e che in tanti rinviino a oltranza (o rinuncino del tutto) ad avere bambini. La precarietà lavorativa alimenta direttamente la denatalità.

Negli ultimi anni qualche timido segnale positivo c’è stato: il tasso di occupazione generale in Sardegna è salito al 56,1%?(era intorno al 46% nel 2021?), grazie soprattutto alla ripresa post-Covid e al boom turistico del 2022-23. Ma restiamo sotto la media italiana (circa 60%) e lontanissimi dai livelli del Nord Europa (70% e oltre)?. Inoltre, gran parte dei nuovi posti creati sono a tempo determinato. “Nel 2023, ogni dieci rapporti di lavoro instaurati in Sardegna solo uno era full-time e indeterminato” conferma il segretario CGIL regionale?. Questo significa che la crescita dell’occupazione è in larga misura usa e getta: finita l’estate o la commessa, tanti saluti.

Il lavoro povero è diventato la norma. I settori trainanti dell’economia sarda – turismo, commercio, ristorazione, edilizia – offrono salari mediamente bassi e scarsa sicurezza contrattuale. Una cameriera stagionale ad Alghero può guadagnare 1.000-1.200 euro al mese per 4-5 mesi, poi restare disoccupata d’inverno; un addetto in un call center a Sassari prende forse 800 euro mensili con contratti rinnovati di continuo; un laureato in materie umanistiche rischia di dover accettare tirocini gratuiti o paghe da fame.

Tutto ciò ha gravi ricadute sociali. Chi vive nel precariato lungo non può permettersi un affitto autonomo (finisce col convivere coi genitori fino a 35 anni) né accendere un mutuo. Molti giovani adulti parlano di “non sentirsi mai davvero indipendenti”. La frustrazione e lo stress si accumulano: dopo anni a mandare CV e fare lavoretti, c’è chi si arrende e lascia la Sardegna, o chi – peggio – smette di cercare del tutto (neet scoraggiati). Una giovane insegnante precaria ha raccontato: “Non sappiamo che fine faremo: ogni anno scolastico è un’incognita, e intanto gli anni passano”?. Queste storie sono diffusissime e dipingono una generazione sospesa, senza certezze e con poche tutele.

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