La fine di Matteo, bagnino travolto dal dolore

Lo hanno trovato in un parco. Lì, in silenzio, come se quel silenzio potesse cancellare l’urlo feroce che da giorni gli lacerava l’anima. Matteo Formenti, 37 anni, bagnino di professione, è stato trovato senza vita a Cologne, nel Bresciano. Il suo corpo abbandonato nel verde, vicino all’auto parcheggiata, rimasta lì come un segno muto della sua ultima battaglia contro se stesso.

Non ci sono dubbi, dicono i carabinieri, che si sia tolto la vita. Ed è questo il punto che lascia sgomenti. Matteo era sparito lunedì scorso, dopo che la tragedia di venerdì aveva travolto non solo il piccolo Michael di quattro anni, ma anche lui, custode della sicurezza nell’acquapark "Tintarella di Luna" di Castrezzato. Era lì quel giorno maledetto, lì dove il bambino aveva smesso di respirare, lì dove la colpa aveva iniziato a rodergli l’anima. Perché a volte si è innocenti eppure colpevoli. Colpevoli di esserci, colpevoli di non aver visto, colpevoli di non aver fermato l’irreparabile.

Domenica sera gli avevano sequestrato il telefono, atto dovuto per l’indagine. E forse è stato proprio quello il momento preciso in cui Matteo ha sentito franare ogni speranza, ogni certezza. Da quel momento ha scelto il silenzio, spegnendo ogni contatto col mondo, forse sperando di annullare in sé il dolore per quel bimbo, per quella vita che lui avrebbe dovuto proteggere e non è riuscito a salvare.

Non era a casa quando, lunedì, i carabinieri volevano notificargli l’avviso d’iscrizione nel registro degli indagati. Matteo era già altrove. Altrove rispetto alla legge, altrove rispetto alla colpa, altrove rispetto al perdono che non riusciva a darsi. Era già in viaggio verso quel luogo oscuro in cui non si torna indietro. La madre lo ha cercato disperatamente, ha lanciato appelli, il sindaco di Chiari ha provato a richiamarlo alla vita. Ma il richiamo di Matteo era ormai un altro, più forte, più terribile.

Il parco acquatico quel venerdì era pieno di famiglie. Michael giocava con la sorellina sotto gli occhi del padre. Bastano pochi istanti perché una giornata di sole si trasformi in tragedia. Bastano pochi attimi di distrazione perché la felicità sprofondi nell’abisso del rimorso eterno. Michael non ce l’ha fatta, è spirato due giorni dopo in ospedale. Matteo non ha saputo reggere il peso di quell’assenza, della responsabilità, forse del giudizio, sicuramente del proprio.

Andrea Salvi, chirurgo e consigliere comunale di Chiari, aveva tentato di raggiungerlo con parole che sembravano quasi un abbraccio: “Non colpevolizzarti. Non sei Dio e non hai superpoteri. Sei una persona che ha soltanto preso paura per una colpa che non c'è”. Ma il bagnino non ha sentito, o forse non ha voluto sentire. Il giudice più severo che esista è dentro ognuno di noi, e Matteo lo aveva già ascoltato. Non si è perdonato.

Adesso restano i magistrati a cercare spiegazioni, i familiari affranti dal dolore, le vite spezzate da un doppio lutto che nessuno saprà più sanare. Rimane una sola certezza: la tragedia di Michael e quella di Matteo si intrecciano in maniera dolorosa e definitiva, ricordandoci ancora una volta quanto sia fragile il confine tra vita e morte, tra innocenza e colpa, tra speranza e disperazione.

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