Se pensavate di aver visto tutto con Mariano Rumor, allora preparatevi, perché adesso arriva Giulio Andreotti, l'uomo che più di tutti ha incarnato l’essenza del potere in Italia. E no, non stiamo parlando di un leader qualunque: Andreotti era il potere. Dall’alto della sua esperienza, che sembra abbracciare l’intero dopoguerra, Andreotti rappresentava un enigma, un uomo capace di muovere i fili della politica con la discrezione di un prestigiatore. Eppure, dietro quella sua apparente calma e imperturbabilità, si nascondeva una mente affilata e sempre vigile.
Giulio Andreotti non era uno che amava la scena, ma sapeva come dominare tutto ciò che accadeva dietro le quinte. Nato nel 1919 a Roma, Andreotti cominciò presto a scalare i gradini della politica, diventando uno degli uomini più influenti della Democrazia Cristiana. Fu allievo di Alcide De Gasperi, e da lui imparò l’arte del controllo politico: la pazienza, la capacità di attendere il momento giusto, e soprattutto l'abilità di non essere mai troppo visibile, pur restando sempre presente. Non era un leader di piazza né uno di quelli che riempiva gli stadi.
Al contrario, preferiva lavorare nelle stanze del potere, lontano dai riflettori.
Quando Andreotti divenne Presidente del Consiglio per la prima volta nel 1972, aveva già ricoperto così tanti incarichi di governo che la sua esperienza era seconda solo a quella dei grandi statisti. Ma non fatevi ingannare dalla sua apparente tranquillità: Andreotti, dietro quella sua postura immobile e quel sorriso enigmatico, sapeva come tenere in pugno la situazione.
Il primo incarico da Presidente del Consiglio di Andreotti non fu certo il più facile. L’Italia stava affrontando anni difficili: terrorismo, inflazione, tensioni sociali che facevano tremare le istituzioni. Eppure, Andreotti, con il suo stile inconfondibile, riuscì a gestire queste crisi con un pragmatismo che pochi altri avrebbero saputo sfoggiare. La sua abilità principale? Sapeva ascoltare tutti, annuire con il suo tipico sorriso, e poi agire seguendo il suo piano. Perché, ricordiamocelo, Andreotti non si lasciava mai guidare dagli altri: era sempre lui a tenere il timone.
Nel 1972, il governo di Andreotti cercò di stabilizzare il Paese, navigando tra gli scogli di un Parlamento frammentato e le tensioni esterne. Non era facile, ma Andreotti sapeva sempre quali tasti toccare, chi accontentare e chi ignorare. Si dice che durante una riunione particolarmente tesa con i sindacati, uno dei suoi ministri gli avesse chiesto: "Ma davvero pensi che possiamo accontentare tutti?" Andreotti, con la sua solita ironia tagliente, rispose: "In politica non si accontenta nessuno, si illudono tutti."
Giulio Andreotti non era solo un uomo di potere, era una leggenda vivente.
Da qui il soprannome di “Divo Giulio”, un riferimento al divino, a colui che sembra intoccabile, inarrivabile. E Andreotti ci giocava con questo mito. Sapeva che la sua riservatezza, quel modo di non dire mai tutto, lo rendeva un enigma per molti. Ma non era solo mistero: era strategia. Sapeva che per durare in politica non bastava avere idee chiare, bisognava anche saperle nascondere. Un suo celebre aforisma lo descrive meglio di qualsiasi altra cosa: "Il potere logora chi non ce l’ha." E Andreotti, di potere, ne aveva da vendere.
Dietro la sua figura serena, si nascondevano anni di rapporti intricati con i poteri forti del Paese: la Chiesa, gli industriali, la mafia (argomento su cui le ombre non si sono mai del tutto dissipate). Andreotti era un uomo che sapeva come muoversi nel labirinto delle relazioni politiche e personali senza mai perdere il filo.
Ma Andreotti non era solo il politico impenetrabile. Era anche un uomo che sapeva ridere, soprattutto di se stesso. Si racconta che durante una visita ufficiale in una scuola elementare, un bambino gli chiese: "Ma è vero che lei è il presidente di tutto?" Andreotti sorrise e rispose: "Sì, ma ogni tanto lascio fare anche agli altri."
In privato, era un uomo semplice. Amava i libri, il cinema e il calcio. Era tifoso della Roma e, nonostante il suo carattere apparentemente freddo, si dice che le partite della sua squadra fossero una delle poche cose che lo emozionavano davvero.
Non pensate che il viaggio di Giulio Andreotti finisca qui. Lo ritroveremo ancora più volte, con altri mandati, nuovi intrighi e sfide ancora più complesse. Ma prima di tornare su Andreotti, ci sarà un altro personaggio a fare il suo ingresso: Aldo Moro, di nuovo. Lo abbiamo già incontrato, ma stavolta lo vedremo nel pieno del suo secondo mandato, in un’Italia sempre più travagliata e in un periodo che porterà a momenti decisivi e, purtroppo, tragici.