“M – Il Figlio del Secolo”: un’opera cinematografica travestita da serie tv

  Siamo avvezzi, ormai, a etichettare con leggerezza il termine "straordinario". Ma qui, nel caso di M – Il Figlio del Secolo, questa definizione assume tutta la sua forza originaria: qualcosa di fuori dall’ordinario, un’esperienza che spezza il consueto per proiettarsi in un altrove estetico e narrativo. La serie, tratta dall’opera monumentale di Antonio Scurati e diretta da Joe Wright, è un’esperienza che non si limita al piccolo schermo. È una deflagrazione visiva, un’opera d’arte che sembra voler abbattere i confini tra cinema e televisione, appropriandosi di entrambi i linguaggi per trascenderli. 

  Ogni inquadratura è una tela, ogni movimento di macchina è un gesto pittorico, un’immersione totale in un universo che mescola estetica futurista e rigore storico, senza mai concedere nulla all’agiografia. Chi conosce il libro di Scurati sa che non si tratta di un semplice romanzo. È una costruzione proteiforme, un mosaico di voci, documenti, frammenti che si intrecciano per narrare un’epoca, una figura, un dramma collettivo. Joe Wright, insieme agli sceneggiatori Stefano Bises e Davide Serino, ha compiuto l’impossibile: tradurre questa complessità in immagini, restituendo la polifonia del testo con una pluralità stilistica che spazia dal bianco e nero ai colori stilizzati, dalla narrazione lineare a soluzioni visive sperimentali che richiamano il video d’avanguardia. 

  Il protagonista, incarnato da un Luca Marinelli titanico, non è mai idealizzato. Al contrario, è restituito nella sua meschinità, nella sua clowneria grottesca, priva di fascino. Non c’è seduzione, non c’è empatia, ma solo il ritratto di un uomo che si presta a diventare simbolo del degrado umano e politico. Marinelli, con una performance impareggiabile, riesce a incarnare questa ambiguità senza mai scivolare nel patetico o nel compiacimento. È un’interpretazione che non lascia spazio a compromessi, che impone allo spettatore di confrontarsi con il personaggio senza facili scorciatoie morali. La serie non è, e non vuole essere, un prodotto facile. È un’esperienza estetica e intellettuale che sfida, provoca, interroga. La sua audacia sta nel non cercare l’approvazione, nel rinunciare alla seduzione per abbracciare una visione che è, al tempo stesso, storica e profondamente contemporanea. 

  M – Il Figlio del Secolo è un atto di ribellione contro la standardizzazione del racconto seriale. È una dichiarazione di guerra al manierismo delle piattaforme, un invito a ricordare che il cinema, quello vero, può ancora esistere nel formato episodico. Non è una serie che piace a tutti, e forse non deve nemmeno esserlo. Ma è un’opera che resterà, come le grandi narrazioni che, pur raccontando il passato, riescono a parlare al presente con una voce che non si può ignorare. Chi ha bisogno di una conferma che l’arte non è morta, qui troverà la sua risposta. Chi cerca semplicemente un’altra storia ben raccontata, forse farà meglio a cercare altrove. Ma per chi è disposto a lasciarsi provocare, a vedere con occhi nuovi, M – Il Figlio del Secolo è già, senza ombra di dubbio, l’evento dell’anno.

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