L'Iran, ce la sta menando: il caso Cecilia Sala è un braccio di ferro senza uscita?

  L’Iran ci tiene in scacco con un’ostentata calma glaciale. Cecilia Sala, la giornalista italiana arrestata a Teheran lo scorso dicembre, è ancora dietro le sbarre in un carcere a pochi chilometri dalla capitale. Stando a quanto riferisce il ministero degli Esteri iraniano, “la giornalista italiana è stata arrestata per violazione delle leggi della Repubblica Islamica”, almeno secondo il comunicato diramato dal dipartimento dei media esteri del ministero della Cultura e dell’Orientamento Islamico. Un modo come un altro per dire che il dossier è passato in mano alla magistratura, e la procedura potrebbe andare per le lunghe. Nel frattempo, da Teheran smentiscono qualunque correlazione tra il fermo della Sala e l’arresto a Milano dell’ingegnere iraniano Mohammed Abdedini. Le autorità di Teheran si affrettano a ripetere che “non esiste alcun collegamento” e che l’idea di uno scambio di prigionieri è frutto di pure illazioni. Ma sappiamo bene che, nel mirabile teatro della politica internazionale, i governi si divertono a raccontarla come fa più comodo. L’uomo, finito nel carcere di Opera su un mandato di cattura statunitense, è accusato di aver esportato materiale tecnologico sensibile per la fabbricazione di droni, roba che a Washington non va giù. 

  La diplomazia italiana, intanto, si agita sottotraccia per ottenere la liberazione della giornalista. Un compito tutt’altro che agevole, vista l’aria che tira a Teheran. Per ora non ci sono segnali tangibili di una sua scarcerazione, anche perché le autorità iraniane assicurano che “il suo caso è in fase di indagine” e che l’unico a poterne parlare apertamente è il portavoce della magistratura, Asghar Jahangir. Un bel rimpallo di responsabilità che tradisce la volontà di prendere tempo. Sul fronte milanese, Abdedini è in attesa di un’udienza fissata per il 15 gennaio davanti alla Corte d’Appello, dove si deciderà sulla richiesta di domiciliari presentata dal suo legale. L’avvocato propone di farlo alloggiare in un appartamento di proprietà del Consolato iraniano, senza braccialetto elettronico e con la facoltà di uscire per acquisti di prima necessità. La Procura, però, è contraria: teme un pericolo di fuga e non ritiene sufficienti le rassicurazioni offerte dalla difesa. Il diretto interessato si proclama innocente e potrà rendere dichiarazioni spontanee in aula; subito dopo, i giudici avranno cinque giorni di tempo per esprimersi. Dall’Iran, intanto, arrivano frecciate agli Stati Uniti: “Un certo numero di cittadini iraniani vengono perseguiti ed estradati in alcuni Paesi su richiesta degli Usa, un vero e proprio sequestro mascherato. 

  L’accusa è di aggirare le sanzioni unilaterali americane, assolutamente infondata”, tuona il portavoce Esmail Baghaei. La Repubblica Islamica sostiene che paesi come l’Italia non dovrebbero lasciarsi influenzare da “richieste illegali di terzi”. E così ci troviamo con Cecilia Sala detenuta a Teheran, un ingegnere iraniano bloccato a Milano su mandato di Washington e un braccio di ferro internazionale in cui l’Italia rischia di fare solo la parte di chi subisce. Il copione è già visto: accuse incrociate, proteste diplomatiche, rassicurazioni di circostanza e nessun barlume di svolta. Nel mentre, la giornalista rimane alla mercé di un sistema giudiziario spietato, e noi possiamo solo sperare che la manovra silenziosa del nostro governo abbia la forza di scardinare l’ennesimo gioco di potere sullo scacchiere internazionale.

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