Chi vince festeggia, chi perde spiega. Dal campo alla mentalità

Nel mondo dell’agonismo non si scappa: c’è chi punta dritto all’obiettivo, si allena come un orologio svizzero, mangia come un monaco e non concede nemmeno un dolce fuori pasto. Precisione quasi maniacale.

La meticolosità di questi atleti li porta spesso a prestazioni da copertina. Negli sport individuali funziona così: tutto dipende da te.

Ma quando si passa al gioco di squadra, la musica cambia. Lì il risultato è un mosaico: ognuno deve lavorare per sé, ma soprattutto per il compagno. Se un tassello manca, il disegno crolla.

Quando si vince, tutto va in secondo piano. Gli errori? Spariti. Ma quando si perde, iniziano le spiegazioni. Le conferenze stampa diventano confessionali e il taccuino delle scuse si riempie.

Chi segue il calcio, queste scene le conosce a memoria. In Inghilterra, Sir Alex Ferguson è rimasto al Manchester United per 25 anni, riempiendo bacheche come pochi.

In Italia? Dura un caffè. Qui la panchina è un’altalena: si sale per presentarsi in conferenza, si scende con la valigia pronta.

Alla fine, è sempre la mentalità a fare la differenza. Quella vincente non contempla la sconfitta. Chi vince non la considera neppure come ipotesi. E se capita, stringe la mano all’avversario e riparte. Senza spiegare.

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