Dietro le quinte del potere: Aldo Moro, il secondo mandato e la strada verso il dramma

  Quando si parla di Aldo Moro, il pensiero corre inevitabilmente a quel tragico epilogo che ha segnato la storia d’Italia. Ma prima di arrivare al dramma delle Brigate Rosse, c’è tutto un percorso politico da comprendere, un viaggio che lo vide al vertice del Paese in momenti di profondi cambiamenti. Il secondo mandato di Moro come Presidente del Consiglio, iniziato nel 1974, fu il tentativo di tenere in equilibrio un’Italia sull’orlo di una crisi sociale ed economica. E, come sempre, Moro era l’uomo giusto per quel tipo di sfida, o almeno così sembrava. Il secondo governo Moro si reggeva su una visione audace e lungimirante, la stessa che lo aveva contraddistinto sin dal primo mandato. L’Italia di quegli anni stava vivendo una transizione delicata.

  La crescente forza del Partito Comunista Italiano (PCI), guidato da Enrico Berlinguer, richiedeva una risposta politica capace di arginare le derive più estremiste, ma senza ricorrere alla pura repressione. La risposta di Moro fu il compromesso storico: un’alleanza tra la Democrazia Cristiana e il PCI, una collaborazione mai vista prima tra cattolici e comunisti, che aveva lo scopo di garantire stabilità al Paese. Ma non tutti erano convinti di questa manovra. All'interno della Democrazia Cristiana, molti mal digerivano l’idea di aprire la porta ai comunisti, mentre i comunisti stessi guardavano a Moro con sospetto, vedendo in lui una figura troppo vicina al potere che avevano sempre combattuto. Moro, però, come un grande tessitore, cercava di mettere insieme i pezzi, convinto che solo unendo le forze, il Paese avrebbe potuto superare la stagione del terrorismo e delle lotte di piazza. Non è un caso che il secondo mandato di Aldo Moro sia coinciso con l’inizio degli Anni di Piombo, un periodo oscuro nella storia italiana. Le Brigate Rosse, insieme ad altri gruppi terroristici di estrema sinistra, colpirono ripetutamente le istituzioni, mirando a destabilizzare il Paese. Moro, che tentava di arginare l’onda lunga del malcontento sociale con le sue proposte di dialogo, si trovò a fronteggiare un nemico che rifiutava qualsiasi compromesso. Il clima di paura e tensione crebbe, e il governo di Moro si trovò a fare i conti con uno degli scenari più difficili della storia repubblicana. Si dice che durante una riunione del Consiglio dei Ministri, mentre il dibattito si faceva acceso su come reagire agli attacchi delle Brigate Rosse, Moro intervenne con la sua consueta calma, affermando: "Non rispondiamo con la violenza. Chi usa la violenza contro lo Stato, non merita altro che giustizia, non vendetta." Parole che colpirono molti, ma che allo stesso tempo fecero capire a tutti quanto fosse profondo il rischio che Moro stava correndo.

  Il 16 marzo 1978, la storia prese una piega tragica. Aldo Moro venne rapito dalle Brigate Rosse nel cuore di Roma, durante quello che sarebbe dovuto essere un giorno di ordinaria routine politica. La sua scorta venne massacrata in pochi secondi. Il sequestro di Moro fu un colpo devastante per l’Italia. Nei 55 giorni di prigionia che seguirono, il Paese rimase paralizzato, mentre le istituzioni cercavano disperatamente di trovare una via d'uscita. La questione del "trattare o non trattare" con i terroristi divenne il dilemma morale di tutta una generazione politica. E mentre nel Paese si discuteva se cedere alle richieste dei brigatisti per salvare Moro, le lettere che lo stesso Moro scriveva dalla sua prigionia facevano il giro dei giornali, mostrando un uomo ormai disilluso e profondamente colpito dal cinismo della politica che tanto amava. Il 9 maggio 1978, il corpo di Aldo Moro venne ritrovato nel bagagliaio di una Renault 4 rossa, parcheggiata in via Caetani, a metà strada tra le sedi del Partito Comunista e della Democrazia Cristiana. Un simbolismo che non sfuggì a nessuno. La sua morte lasciò un vuoto incolmabile non solo nella politica italiana, ma anche nella coscienza collettiva del Paese. Il compromesso storico, l'idea di un'Italia che potesse trovare un punto di incontro tra anime così diverse, si infranse insieme alla sua vita. Con la tragica fine di Aldo Moro, l’Italia dovette ripensare profondamente a se stessa. Ma la storia non si ferma qui. Nel prossimo episodio, passeremo a un’altra figura cardine di quegli anni: Giulio Andreotti. Perché sì, Andreotti ritorna, e lo farà più potente che mai. Vedremo un Andreotti che avrà l’arduo compito di traghettare il Paese fuori dalle macerie del terrorismo e dell’instabilità. Ma Andreotti, come sappiamo, non si accontenta mai di un ruolo di semplice esecutore...

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