In un momento decisivo per l’agricoltura sarda, il vicepresidente del Centro Studi Agricoli Stefano Ruggiu traccia un quadro severo dello stato delle campagne. Dalla siccità della Nurra agli indennizzi bloccati, fino alla sfida dell’agrivoltaico, Ruggiu indica le responsabilità e le urgenze del settore. Una conversazione franca, che chiama la politica a scelte immediate.
Vicepresidente Ruggiu, questo è un momento delicato per l’agricoltura sarda. Che rapporto intendete costruire con il
nuovo assessore e quali prime aspettative avete nei suoi
confronti? «Il rapporto deve essere istituzionale,
corretto e diretto. L’agricoltura non ha tempo per le liturgie
della politica. Ci aspettiamo un assessore che ascolti, che conosca
il territorio e che abbia il coraggio di affrontare i nodi
strutturali del settore: burocrazia, ritardi nei pagamenti, assenza
di pianificazione. A noi interessa collaborare, non fare
contrapposizione sterile.»
Qual è oggi, secondo voi, lo stato reale delle campagne
sarde? «Molto critico. I costi sono aumentati, i ricavi
sono crollati, la manodopera scarseggia. La gran parte delle aziende
lavora in perdita. Ci sono allevatori che vendono sotto costo e
agricoltori che non riescono più a sostenere le spese vive: gasolio,
energia, mangimi. La parola giusta è fragilità. E non riguarda solo
l’economia: riguarda anche il tessuto umano delle campagne.»
Da tempo sostenete che l’agrivoltaico possa
rappresentare un’opportunità. Quali caratteristiche deve avere un
impianto per essere davvero compatibile con l’attività
agricola? «Deve essere integrato, non invasivo. Parliamo
di strutture sopraelevate, che lasciano spazio a pascoli, lavorazioni
e colture. Quindi niente distese di pannelli poggiati a terra, che
soffocano tutto. I modelli virtuosi esistono già in altre regioni,
si veda ad esempio la Sicilia: impianti a tre metri dal suolo,
mantenimento dell’attività agricola, coesistenza reale tra energia
e produzione.»
Perché ritenete che l’agrivoltaico possa essere una
risorsa e non una minaccia per il territorio? «Perché
dà reddito agli agricoltori, e oggi senza un’integrazione di
reddito moltissime aziende non sopravvivono. E perché, se fatto
bene, protegge le colture dal caldo estremo, riduce l’evaporazione,
permette di continuare a lavorare. È uno strumento, non un dogma. Se
regolato bene, può ridurre il divario con altre regioni che lo
stanno già utilizzando e che diventano ogni anno più competitive
sui prezzi.»
Lei parla spesso di aziende allo stremo. Quali interventi
ritenete indispensabili per evitarne la chiusura? «Servono
misure immediate: liquidare le pratiche arretrate, semplificare
l’accesso ai bandi, garantire pagamenti certi e tempi brevi. E
servono interventi strutturali: riequilibrare la filiera, proteggere
i produttori, sostenere il ricambio generazionale. Oggi l’agricoltore
sardo è schiacciato tra costi in aumento e margini nulli. Così non
regge nessuno.»
Nei primi 100 giorni, cosa chiedete all’Assessorato? «Un
segnale netto: riforma degli enti agricoli, coordinamento tra
agenzie, revisione delle procedure. Servono strumenti che funzionino,
non sovrastrutture che rallentano tutto. Chiediamo una macchina
amministrativa più leggera, più trasparente, più veloce.»
Il tema della revisione dei PSR è centrale nella vostra
agenda. Che tipo di bandi servirebbero davvero alle aziende
medio-piccole? «Bandi più semplici, meno costosi da
compilare, e calibrati sulle necessità di chi produce davvero. In
Sardegna il 90% del tessuto agricolo è costituito da imprese piccole
o piccolissime: se i bandi continuano a premiare solo le strutture
grandi, avremo un deserto produttivo in pochi anni. Serve un PSR che
difenda il territorio, non che lo spinga verso la marginalità.»
Avete ipotizzato una nuova “Ismea sarda”, magari in
collaborazione con SFIRS. Che funzione dovrebbe avere? «Sostituire
un sistema di accesso al credito che oggi penalizza gli agricoltori.
Molti non riescono a ottenere finanziamenti per mancanza di garanzie,
non per mancanza di idee o di capacità. Una struttura regionale
potrebbe facilitare investimenti, subentri, acquisto di terreni,
innovazione. Sarebbe un segnale politico forte: la Regione che torna
a credere davvero nell’agricoltura.»
Negli ultimi mesi vi siete esposti molto sul tema
della siccità nella Nurra. A che punto siamo e quali responsabilità
individuate nella gestione di questa emergenza? «Parlo
prima da agricoltore della Nurra e solo dopo da vicepresidente del
Centro Studi Agricoli. Conosco bene le aziende che hanno perso tutto
a causa del divieto di coltivare. All’ex assessore riconosco lo
sforzo di aver reperito le risorse per gli indennizzi, ma non basta
annunciarli: occorre farli arrivare. E qui sta il punto. Le linee
guida che avrebbero permesso a Laore di procedere ai pagamenti non
sono mai arrivate, e l’Agenzia è rimasta ferma. Se quelle
indicazioni fossero state emanate in tempo, gli agricoltori avrebbero
ricevuto gli indennizzi prima di Natale, e avrebbero potuto
programmare la nuova stagione irrigua, già incerta per una siccità
che non dà tregua. Senza quei fondi non si compromette solo il 2025,
ma anche il 2026: chi non può acquistare sementi o materiali a
dicembre e gennaio è tagliato fuori. Il primo atto del nuovo
assessore deve essere un decreto chiaro che consenta a Laore di
pagare subito, con criteri basati sulle domande di irrigazione e
sulla produzione lorda vendibile. Ogni giorno perso avvicina la
chiusura definitiva di molte aziende.»
Avete più volte denunciato la questione delle
pensioni agricole. Su quale riforma intendete spingere? «È
inaccettabile che dopo cinquant’anni di lavoro nei campi, un
agricoltore prenda meno di una pensione sociale. È un’ingiustizia
storica. Chiederemo una revisione del sistema contributivo agricolo e
un innalzamento delle pensioni minime per chi ha lavorato una vita
nelle campagne. È una questione di dignità, prima ancora che
economica.»
Quale visione di lungo periodo vuole proporre il Centro
Studi Agricoli per il futuro dell’agricoltura
sarda? «Un’agricoltura che produce reddito, che
integra energia e coltivazione dove serve, che premia chi lavora e
non chi specula sui bandi, che valorizza il territorio e non lo
svende. La Sardegna può ancora essere un’isola agricola forte, ma
servono scelte politiche chiare. Noi continueremo a portare proposte
concrete e a difendere chi, ogni giorno, tiene in piedi le campagne.»