Il settore agricolo sardo vive uno dei passaggi più delicati

Ruggiu (CSA): «Agricoltura allo stremo. Subito le linee guida o perderemo anche il 2026»

Ci riceve nel suo studio, tra faldoni di documenti e tabelle sul calo produttivo

In un momento decisivo per l’agricoltura sarda, il vicepresidente del Centro Studi Agricoli Stefano Ruggiu traccia un quadro severo dello stato delle campagne. Dalla siccità della Nurra agli indennizzi bloccati, fino alla sfida dell’agrivoltaico, Ruggiu indica le responsabilità e le urgenze del settore. Una conversazione franca, che chiama la politica a scelte immediate.

Vicepresidente Ruggiu,  questo è un momento delicato per l’agricoltura sarda. Che rapporto intendete costruire con il nuovo assessore e quali prime aspettative avete nei suoi confronti? 
«Il rapporto deve essere istituzionale, corretto e diretto. L’agricoltura non ha tempo per le liturgie della politica. Ci aspettiamo un assessore che ascolti, che conosca il territorio e che abbia il coraggio di affrontare i nodi strutturali del settore: burocrazia, ritardi nei pagamenti, assenza di pianificazione. A noi interessa collaborare, non fare contrapposizione sterile.»

Qual è oggi, secondo voi, lo stato reale delle campagne sarde? «Molto critico. I costi sono aumentati, i ricavi sono crollati, la manodopera scarseggia. La gran parte delle aziende lavora in perdita. Ci sono allevatori che vendono sotto costo e agricoltori che non riescono più a sostenere le spese vive: gasolio, energia, mangimi. La parola giusta è fragilità. E non riguarda solo l’economia: riguarda anche il tessuto umano delle campagne.»

Da tempo sostenete che l’agrivoltaico possa rappresentare un’opportunità. Quali caratteristiche deve avere un impianto per essere davvero compatibile con l’attività agricola? «Deve essere integrato, non invasivo. Parliamo di strutture sopraelevate, che lasciano spazio a pascoli, lavorazioni e colture. Quindi niente distese di pannelli poggiati a terra, che soffocano tutto. I modelli virtuosi esistono già in altre regioni, si veda ad esempio la Sicilia: impianti a tre metri dal suolo, mantenimento dell’attività agricola, coesistenza reale tra energia e produzione.»

Perché ritenete che l’agrivoltaico possa essere una risorsa e non una minaccia per il territorio? «Perché dà reddito agli agricoltori, e oggi senza un’integrazione di reddito moltissime aziende non sopravvivono. E perché, se fatto bene, protegge le colture dal caldo estremo, riduce l’evaporazione, permette di continuare a lavorare. È uno strumento, non un dogma. Se regolato bene, può ridurre il divario con altre regioni che lo stanno già utilizzando e che diventano ogni anno più competitive sui prezzi.»

Lei parla spesso di aziende allo stremo. Quali interventi ritenete indispensabili per evitarne la chiusura? «Servono misure immediate: liquidare le pratiche arretrate, semplificare l’accesso ai bandi, garantire pagamenti certi e tempi brevi. E servono interventi strutturali: riequilibrare la filiera, proteggere i produttori, sostenere il ricambio generazionale. Oggi l’agricoltore sardo è schiacciato tra costi in aumento e margini nulli. Così non regge nessuno.»

Nei primi 100 giorni, cosa chiedete all’Assessorato? «Un segnale netto: riforma degli enti agricoli, coordinamento tra agenzie, revisione delle procedure. Servono strumenti che funzionino, non sovrastrutture che rallentano tutto. Chiediamo una macchina amministrativa più leggera, più trasparente, più veloce.»

Il tema della revisione dei PSR è centrale nella vostra agenda. Che tipo di bandi servirebbero davvero alle aziende medio-piccole? «Bandi più semplici, meno costosi da compilare, e calibrati sulle necessità di chi produce davvero. In Sardegna il 90% del tessuto agricolo è costituito da imprese piccole o piccolissime: se i bandi continuano a premiare solo le strutture grandi, avremo un deserto produttivo in pochi anni. Serve un PSR che difenda il territorio, non che lo spinga verso la marginalità.»

Avete ipotizzato una nuova “Ismea sarda”, magari in collaborazione con SFIRS. Che funzione dovrebbe avere? «Sostituire un sistema di accesso al credito che oggi penalizza gli agricoltori. Molti non riescono a ottenere finanziamenti per mancanza di garanzie, non per mancanza di idee o di capacità. Una struttura regionale potrebbe facilitare investimenti, subentri, acquisto di terreni, innovazione. Sarebbe un segnale politico forte: la Regione che torna a credere davvero nell’agricoltura.»

Negli ultimi mesi vi siete esposti molto sul tema della siccità nella Nurra. A che punto siamo e quali responsabilità individuate nella gestione di questa emergenza? «Parlo prima da agricoltore della Nurra e solo dopo da vicepresidente del Centro Studi Agricoli. Conosco bene le aziende che hanno perso tutto a causa del divieto di coltivare. All’ex assessore riconosco lo sforzo di aver reperito le risorse per gli indennizzi, ma non basta annunciarli: occorre farli arrivare. E qui sta il punto. Le linee guida che avrebbero permesso a Laore di procedere ai pagamenti non sono mai arrivate, e l’Agenzia è rimasta ferma. Se quelle indicazioni fossero state emanate in tempo, gli agricoltori avrebbero ricevuto gli indennizzi prima di Natale, e avrebbero potuto programmare la nuova stagione irrigua, già incerta per una siccità che non dà tregua. Senza quei fondi non si compromette solo il 2025, ma anche il 2026: chi non può acquistare sementi o materiali a dicembre e gennaio è tagliato fuori. Il primo atto del nuovo assessore deve essere un decreto chiaro che consenta a Laore di pagare subito, con criteri basati sulle domande di irrigazione e sulla produzione lorda vendibile. Ogni giorno perso avvicina la chiusura definitiva di molte aziende.»

Avete più volte denunciato la questione delle pensioni agricole. Su quale riforma intendete spingere? «È inaccettabile che dopo cinquant’anni di lavoro nei campi, un agricoltore prenda meno di una pensione sociale. È un’ingiustizia storica. Chiederemo una revisione del sistema contributivo agricolo e un innalzamento delle pensioni minime per chi ha lavorato una vita nelle campagne. È una questione di dignità, prima ancora che economica.»

Quale visione di lungo periodo vuole proporre il Centro Studi Agricoli per il futuro dell’agricoltura sarda? «Un’agricoltura che produce reddito, che integra energia e coltivazione dove serve, che premia chi lavora e non chi specula sui bandi, che valorizza il territorio e non lo svende. La Sardegna può ancora essere un’isola agricola forte, ma servono scelte politiche chiare. Noi continueremo a portare proposte concrete e a difendere chi, ogni giorno, tiene in piedi le campagne.»

L'Intervista

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