Dal tumore alla rinascita, la storia di Sara, oggi mamma e infermiera: “La vita toglie, ma dà anche tanto”

  Talvolta, la vita sembra non essere buona e sceglie per noi, per le nostre spalle – soprattutto quando siamo molto giovani –, dei percorsi che sembrano pieni di crudeltà, di amara difficoltà. Ci sono, tuttavia, storie che dimostrano come dai sentieri difficili possano nascere strade luminose. Rinascita. Bellezze. È il caso della 24enne Sara Carta, originaria di un piccolo paese incastonato tra le rocce dell’Ogliastra, Jerzu. Un’infanzia serena, una famiglia presente, tanti sogni tipici dell’adolescenza. Poi, all’improvviso, un cambio di rotta, quando Sara ha sedici anni. «Tutto è iniziato un giorno qualunque, sul divano. Ho sentito delle palline sul collo e all’inizio non mi sono preoccupata. Succede, no? Poi sono arrivati il prurito, la perdita di peso, le sudorazioni notturne… e quelle palline che aumentavano.» Sono seguiti esami, ricoveri, attese. E infine, il 17 marzo 2018, la parola che nessuno vorrebbe sentire. «Quando il medico ha pronunciato linfoma di Hodgkin, una parte di me l’aveva già capito. Ma sentirlo dire fa paura. Ricordo gli sguardi tristi della mia famiglia… e la mia voglia folle di mangiare una frittura di calamari per pranzo. Assurdo, eh? Anche nei momenti più duri la vita continua a essere strana e bellissima.» Da quel giorno è iniziato un percorso duro, fatto di terapie, ricoveri, stanchezza, e quei pensieri che a quell’età dovrebbero essere lontani. «C’erano giorni in cui pensavo: non ce la faccio più. Il dolore delle terapie nelle ossa, le nausee, il tempo che sembrava non passare mai. E poi c’erano le paure… Chissà se guarirò?»

  Ma accanto al dolore, c’erano anche la forza, i sorrisi e la speranza che entravano a piccoli passi, spesso grazie a chi le stava vicino. «La mia famiglia è stata la mia ancora. E poi le amiche, che quando tornavo a casa tra un ricovero e l’altro riuscivano a regalarmi un po’ di spensieratezza. È lì che capisci quanto basta poco per respirare di nuovo.» Il 18 giugno 2018 è la data che Sara ha tatuato sulla pelle: l’ultima infusione, la fine delle cure. Una rinascita, ma non immediata. La paura ha continuato a bussare, specie nei primi anni. Ogni sintomo era un campanello d’allarme, ogni dolore una domanda sospesa. Con il tempo, e con l’aiuto di professionisti, Sara ha imparato a fare pace con quella parte della sua storia. «Oggi non vedo più la malattia come un nemico. È stata un pezzo del mio cammino. Non è stato facile accettarlo, ma ora posso parlarne con serenità.» E da quella esperienza è nata una scelta fondamentale: diventare infermiera, mettere se stella a disposizione degli altri, della loro sofferenza. «Durante le cure ho incontrato persone straordinarie. Gentilezza, pazienza, empatia… mi hanno insegnato che un sorriso o una parola gentile fanno davvero la differenza. Ho pensato: un giorno voglio essere io quella persona per qualcun altro.»

  Oggi Sara lavora in corsia, con la stessa dolce delicatezza che ha ricevuto. E nella sua vita ci sono nuove gioie, quelle che hanno il profumo di un bellissimo futuro: Andrea, compagno da tre anni e mezzo, e il piccolo Tommaso, quattro mesi, “luce e promessa” come lei lo definisce. «Tommaso è la prova che la vita toglie, ma la vita dà. Lui è il mio riscatto, la mia pace.» La domanda che forse tutti le farebbero arriva da sola, sincera: «Ho paura che possa tornare? Sì, un po’ sì. Credo che una parte di quella paura resterà sempre. Ma non mi paralizza più. Mi ricorda solo di vivere tutto, di non dare nulla per scontato.» Oggi Sara è una donna che ha attraversato una tempesta e ne è uscita più forte e forse più felice, grata per le fortune della sua vita. Non con ingenuità, ma con consapevolezza e gratitudine. La sua storia non è un invito a non avere paura, ma a non lasciare che la paura sia l’ultima parola. «Se posso dire qualcosa a chi sta affrontando questo percorso oggi, è: non siete soli. Ci saranno giorni bui, ma la luce torna. E quando lo fa, è più forte di prima.»

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