Cosa accade quando una malattia grave si abbatte sulla nostra vita,
sconvolgendola? Si sopravvive e basta, pregando che il male non faccia
troppi danni – fisici, certo, ma anche psichici –, oppure si può anche
rinascere? Il dolore può diventare una risorsa?
A quanto pare sì. Cambiano le priorità, in alcuni casi, il modo di vedere il
mondo, il lavoro, i sogni. Una malattia grave, che minaccia la propria
esistenza, è capace di lasciare cicatrici importanti – e che non si dica il
contrario – ma anche di insegnare quanto è preziosa ogni nuova alba, ogni
croissant con la crema la domenica mattina, ogni notte trascorsa abbracciati
alle persone che si amano. Nel caso di Ilenia Cocco, trentaseienne ogliastrina
– originaria di Villanova – ha fatto questo e molto più: le ha regalato la
predisposizione ad aiutare gli altri. Di passare dall’altra parte. Di mettersi, con
empatia e umiltà dalla parte di chi soffre.
Madre di due bimbi, moglie e infermiera per 8 anni nello stesso ospedale che,
da ragazzina, la vide paziente, il Microcitemico di Cagliari (dal novembre
2024 è al Santissima, ma al Microcitemico ci è stata una vita): Ilenia ora è al
servizio dei meno fortunati, quelli che combattono per la propria vita. Sì,
perché anche a lei a soli 14 anni venne data una notizia terribile: linfoma non-
Hodgkin.
Era il dicembre 2003: un’improvvisa crisi respiratoria la portò al pronto
soccorso di Lanusei, dove, dopo gli accertamenti, fu trasferita d'urgenza a
Cagliari. Prima rotta verso l’Ospedale Oncologico Businco, e poi al reparto di
Oncoematologia Pediatrica del Microcitemico.
La diagnosi arrivò come un colpo netto che tagliò in due la sua vita. La
malattia la strappò dalla quotidianità del Liceo Sociopsicopedagogico di
Lanusei, dalle aule rumorose, dalle risate nei corridoi. Iniziò un tempo di
terapie, di ricoveri e di silenzi lunghi. Eppure, persino dentro quella
sospensione forzata, Ilenia non era sola: le sue compagne continuarono a
starle accanto, con messaggi, videochiamate, lettere, appunti presi per lei.
Era un filo sottile ma tenace, che la teneva legata al mondo da cui era stata
allontanata.
Nei giorni in cui il corpo cedeva ma la mente cercava appigli, Ilenia
accendeva il PC e studiava online, per non perdere il contatto con quella
parte di sé che voleva rimanere viva: la studentessa, non solo la paziente.
Quelle ore di studio — a letto, in ospedale, tra una terapia e l’altra — erano
un atto di resistenza, un modo per dire alla malattia che non avrebbe preso
tutto.
Poi arrivò la recidiva, un nuovo abisso da attraversare. L’unica via era il
trapianto di midollo. Mentre lei affrontava la chemioterapia ad alte dosi e
l’isolamento nella camera sterile, le sue compagne non smisero di farle
arrivare la loro presenza. Durante quel periodo difficile, si consolidarono
anche legami preziosi con alcune infermiere e medici.
Il dono che le ha ridato futuro è venuto dal fratello Matteo, dieci anni appena,
compatibile al 100%. Un gesto semplice e smisurato che lei oggi chiama
“rinascita”. Ma in quella rinascita ci sono anche loro: le compagne che non
l’hanno lasciata cadere nel vuoto, che hanno continuato a considerarla parte
del gruppo anche quando la malattia cercava di isolarla dal mondo.
Rinascere, per Ilenia, è stato tornare alla vita sapendo che non l’aveva
attraversata da sola — mai davvero.
Dopo il trapianto, la risalita non fu immediata.
Giorno dopo giorno, Ilenia
tornava alla vita, ma non alla vita di prima — a una vita nuova, segnata da un
diverso sguardo sul mondo. Dentro di lei qualcosa si era spostato per
sempre: la malattia aveva inciso profondamente, creando solchi non solo di
dolore ma anche di amore ricevuto.
Il dono di Matteo non le ha soltanto salvato il corpo: le ha riorganizzato
l’anima. Sapere che un bambino aveva dato il proprio midollo per darle una
possibilità di futuro ha trasformato quel gesto in una responsabilità dolce, in
un debito morale verso la vita. Da quel legame di sangue e di coraggio è nata
una scelta: restare nel luogo in cui aveva imparato la fragilità e la cura e
trasformare quella esperienza in professione.
Allora prese forma la decisione che oggi guida il suo cammino: diventare
infermiera, per restituire ciò che aveva ricevuto quando tutto era sospeso tra
sofferenza e speranza. Il dono di Matteo è diventato un’eredità da onorare,
ogni giorno, nella tenerezza del prendersi cura degli altri.
Oggi lavora al Santissima di Cagliari, ma per molti anni ha dedicato se stessa
al Microcitemico, prendendosi cura di ogni paziente con una dedizione
speciale, in particolare dei bambini. L’esperienza della malattia le ha lasciato
un’impronta indelebile: non solo le ha insegnato la fragilità e la forza
dell’essere umano, ma le ha trasmesso una sensibilità profonda nel prendersi
cura degli altri.
Il suo impegno non si limita al lavoro clinico: è consigliera dell’Opi Cagliari,
portando con sé la testimonianza viva dell’amore per la professione e della
capacità di lavorare.
Ilenia è oggi madre di due figli, Samuele e Lorenzo, per lei un vero e proprio
miracolo: il simbolo della vita che ha vinto sulle difficoltà. Molte donne che
affrontano chemio e trapianto possono sperimentare problemi di fertilità, una
conseguenza dolorosa e spesso imprevedibile di terapie così intense: il fatto
di aver potuto concepire naturalmente i suoi figli è un dono straordinario, un
privilegio per cui si sente grata. Fin da quando erano piccoli, Ilenia ha
raccontato loro la sua malattia come una sorta di storiella, scegliendo parole
dolci, rassicuranti per far comprendere la forza e il coraggio senza spavento:
la sua storia è diventata per loro un racconto di resilienza, amore e speranza.
«In questo dono, vedo anche la mano di Dio, che mi ha guidata, protetta e
accompagnata» dice. «La fede mi ha dato forza nei momenti di smarrimento,
mi ha offerto conforto nei giorni più duri e mi ha insegnato a guardare alla vita
con meraviglia e gratitudine. Per me, ogni sorriso dei miei figli è un simbolo
della vita che rinasce, anche quando tutto sembra impossibile.»
Per Ilenia, il passato non è qualcosa da cancellare o dimenticare: è parte
integrante di ciò che è diventata. Raccontare la propria esperienza non
significa rivivere solo il dolore, ma condividere la forza, il coraggio e la
speranza che ha saputo trovare anche nei momenti più difficili. Ogni racconto
diventa un ponte verso chi sta affrontando situazioni simili, un modo per far
capire che, anche quando tutto sembra perduto, è possibile ritrovare la luce.
Quella malattia e tutto ciò che ne è seguito l’hanno trasformata
profondamente: l’hanno resa non solo la donna che è oggi, con una
consapevolezza e una sensibilità uniche, ma anche la professionista capace
di entrare in sintonia con chi soffre. Raccontare significa, per lei, restituire agli
altri ciò che la vita le ha insegnato, trasformando il dolore in speranza
concreta.
Guardando indietro, Ilenia vede un percorso fatto di sfide, dolori e rinascite.
Ogni esperienza l’ha plasmata. Tuttavia, sa bene che il percorso di chi
affronta una malattia oncologica non termina con la fine delle terapie: i follow-
up post-chemioterapia e post-trapianto continuano per tutta la vita, perché
queste cure così intense possono causare effetti tardivi.
Questa consapevolezza ha reso Ilenia ancora più attenta alla prevenzione e
alla cura della salute.
Il messaggio che vuole trasmettere è profondo: «Anche nei momenti più bui,
la speranza, l’amore e la dedizione possono trasformare la vita. Ciò che
abbiamo vissuto, per quanto doloroso, può diventare la forza per aiutare gli
altri, per accogliere con empatia chi soffre e per guidarlo a proteggere sé
stesso attraverso scelte consapevoli e attente.»