Forza d’animo e sorriso contagioso, oltre che grande coraggio e
schiettezza nell’affrontare quello che gli è capitato: DJ Fanny è lo
pseudonimo di Andrea Turnu, un DJ sardo affetto da Sclerosi
Laterale Amiotrofica (SLA) da molti anni.
«La SLA è arrivata a fine dei ventiquattro anni» racconta. «I primi
momenti li ho passati tranquillamente perché lavoravo ancora.
Prima di ammalarmi ero un ragazzo qualsiasi con un lavoro, una
fidanzata e degli amici. I primi sintomi si sono presentati con il piede
sinistro, infatti inciampavo in continuazione. La diagnosi mi è stata
comunicata a Milano nell’agosto del 2013».
Dopo una tracheotomia nel 2016, Andrea ha perso la possibilità di
parlare e per comunicare ha iniziato a usare un puntatore oculare.
«Inizialmente riuscivo ad usare il puntatore oculare, attraverso
quello riuscivo a comunicare, usare i social e soprattutto fare
musica con il solo movimento degli occhi. Purtroppo non riesco più
ad usarlo, ora uso la lavagna, con i miei assistenti e familiari».
La paura più grande, confida, è stata quella dell’abbandono. «La
mia più grande paura è stata quella di restare solo e così è stato
perché poi la mia ragazza mi ha lasciato. La mia più grande
conquista è stata di suonare a grandi concerti come al Red Valley e
di continuare a suonare anche essendo immobilizzato, grazie al
puntatore oculare».
Nonostante la malattia, la musica continua a essere il suo motore
vitale. «La musica per me è quasi tutto, fin da quando ero bambino
mi aiutava e motivava a fare tutto. È sempre stata un’ancora di
salvezza e lo è tutt’ora. Mi piace molto suonare anche solo per
hobby, lo faccio per passione e sono riuscito anche a raccogliere
fondi per la ricerca. Fare musica per me è una delle cose più
importanti e poterlo fare con il solo movimento degli occhi è
incredibile».
Nel corso degli anni, Andrea ha ricevuto diversi riconoscimenti, tra
cui il titolo di “Sardo dell’anno” da Sardegna Live. «Sì, mi ha fatto
piacere essere nominato Sardo dell’anno. Più che altro spero di
essere d’aiuto ad altri malati gravi come me. Diciamo che ci sono
più rimasto male per la festa che mi avevano promesso e non mi
hanno fatto», scherza.
Negli ultimi giorni ha portato l’attenzione su un tema delicato: la
sessualità nella disabilità.
«Per me la sessualità non è un tabù, non ho problemi a parlarne.
Penso che in Italia ci siano tante persone che si vergognano, quindi
dico a tutte le persone di non avere vergogna, che la società
dovrebbe avere una mentalità più aperta. Sì, ho ricevuto tanti
messaggi di sostegno dalle persone che mi seguono, tanti racconti
personali di vicende simili. Avere così tante persone che mi
scrivono mi fa sentire sempre compreso e mai solo».
Il suo messaggio finale è di speranza e resistenza:
«Vorrei mandare un messaggio a tutte le persone che stanno
vivendo momenti difficili, soprattutto a chi, come me, convive con la
SLA o con altre forme di disabilità. Voglio dire loro – e ricordarlo
anche a me stesso – di non smettere mai di andare avanti.
Continuate a fare ciò che sentite, ciò che vi fa stare bene, ciò che vi
fa sentire vivi. Non permettete alla malattia di decidere chi siete o
cosa potete fare. Noi non siamo la nostra disabilità. C’è molto di più
in ognuno di noi: passioni, sogni, pensieri, emozioni, dignità. La
malattia può cambiare il corpo, ma non può toccare ciò che siamo
davvero».