“La rivincita della mamma chioccia”: quattro figli, vent’anni di
maternità e… zero rimpianti. Maena Delrio, scrittrice e runner
tortoliese, lo sa: i figli crescono in fretta, ci sarà di nuovo tempo per
sé quando spiccheranno il volo. Per ora, sceglie di esserci. Di
essere una mamma chioccia. Presente h24, senza pause e senza
frustrazione. Non c’è annullamento nel dedicarsi a loro, dice, solo
una forma di realizzazione diversa rispetto a quella che vuole la
società.
“In tanti anni posso contare sulla punta delle dita le volte in cui ho
delegato ad altri la cura dei miei bambini, e sempre per cause di
forza maggiore visto che non ho mai sentito l’esigenza di stare
lontana da loro per ‘ricaricarmi’. Ebbene sì, lo ammetto: sono una
mamma chioccia.
Quattro figli, due in giovane età e altrettanti in cui
mi sono sentita dare dell'attempata per tutta la durata delle
gravidanze. Il più grande compirà vent'anni a febbraio, il più piccolo
ha soffiato la prima candelina a luglio. Qualcuno parlerebbe di
donna ‘annullata’ in favore di un ruolo, quello di madre, che a detta
di tante mi porterà in futuro, quando il nido sarà vuoto, a soffrire la
mancanza di ciò che non ho coltivato negli anni in cui mi sono
dedicata a loro in maniera esclusiva. Se è vero che la mia è una
singola esperienza, è altrettanto vero che questo è in soldoni il
pensiero comune delle nuove generazioni. Ma come è stato
possibile passare da un eccesso a un altro nel giro di una
quarantina d’anni?”
In una società dove un figlio è abbastanza, chi ne ha più di due è
quasi additato, dice la Delrio: la famiglia numerosa, in questa
società frenetica dove correre e correre è l’unica strada, è vista
come qualcosa di negativo.
“Si insegue la miglior prestazione, il mito del superamento del limite
in ogni campo, quella convulsa ricerca della perfezione…. Tutte
attività individuali e individualiste, nelle quali le madri con più di un
figlio farebbero fatica a competere. Scrivo ‘madri’ e non ‘genitori’
con cognizione di causa. In un’epoca nella quale i ruoli della donna
e della madre non sono più sovrapponibili, è pur sempre ancora lei,
la donna , a ricevere le critiche maggiorie a sentire su di sé il peso
della responsabilità nei confronti della prole. È sempre lei a venir
additata anche nel caso in cui decide di avere più bambini (o di
averli troppo tardi, o di non averne affatto, insomma, ce n’è per tutti
i gusti). Io stessa mi sono trovata ad essere bersaglio dei commenti
più disparati per la mia scelta.”
La narrazione della maternità, continua la scrittrice, è cambiata:
esasperata dai social, è diventata così tragica che “se fosse esistito
Instagram quando ho desiderato il mio primo figlio,” dice “forse ci
avrei pensato due volte prima di concepirlo”.
Ma non solo, dice: “E dell’allattamento spiegato come una attività
opzionale perché troppo vincolante, da interrompere il prima
possibile per riappropriarsi dei propri spazi vitali? Solo il 10% dei
neonati continua a essere allattato al seno dopo il sesto mese di
vita, e a onor del vero questa percentuale non cambia molto tra le
lavoratrici e le casalinghe. E posso capire che, di base, questa sia
la risposta più ovvia alla mancanza cronica di una rete di sostegno,
quella su cui le generazioni prima di noi hanno potuto far
affidamento per non soccombere. Ci si dimentica però abbastanza
spesso che le nostre nonne ne avevano bisogno perché, oltre a far
più figli in rapida successione, non avevano tutele sanitarie,
elettrodomestici, case adeguate, nidi e tutta quella serie di aiuti (
sempre troppo pochi, per carità, ma decisamente più di allora) su
cui possiamo contare noi.”
Annullarsi, dice, ma è il termine giusto? Usare un termine
dispregiativo verso chi ha fatto, come la Delrio, una scelta è
corretto?
“Qualche tempo fa mi è capitato di sentire parlare una
professionista che annunciava al suo pubblico social di aver
prenotato una vacanza in solitaria. I suoi bambini sarebbero rimasti
con il papà. Per lei, quella settimana era necessaria per rivendicare
il suo ruolo di donna, pensare a se stessa in modo esclusivo, e per
fungere da esempio non solo per i suoi stessi figli ma anche per
quelle povere criste annullate e frustrate che si ritrovano a accudire
la prole h24 e che, a detta sua, vanno incontro a un futuro pieno di
ansie e negatività per i motivi sopracitati” spiega. “Ecco. Io sono
certa che abbia fatto bene a prendere la decisione di partire, perché
non c’è niente di peggio per un figlio di una madre che lo considera
un ostacolo alla sua realizzazione personale. Ben venga allora che
si abitui a qualche assenza, i bambini sono bravissimi ad adattarsi
alle situazioni i più disparate. Ma non siamo tutte uguali, e per
fortuna, oserei dire. In realtà i bambini hanno un bisogno esclusivo
dei genitori che si esaurisce molto presto se messo in relazione con
le altre tappe della vita. Perciò, dico io, in virtù di quale beneficio mi
dovrei privare della compagnia dei miei bambini in vacanza , o in
qualsivoglia altra situazione, quando ho ben presente che tra
qualche anno saranno loro stessi a spiccare il volo verso
l’indipendenza e a non gradire più la mia compagnia in determinate
situazioni?”
Si può essere madri senza rinunciare alla propria vita precedente:
questa la frase che Delrio mette sotto lente di ingrandimento. Forse
forse, dice, è nel suo significato che è racchiuso tutto lo stress delle
mamme di oggi: “Se ci pensate, tutto ruota sempre attorno a quella
ricerca della prestazione, al giudizio impietoso di chi vi vuole
strafighe anche quando siamo sfatte dopo una settimana di notti
insonni, eccellenti al lavoro ma anche montessoriane con il figlio
che fa i capricci. La verità è che ci si illude di poter tornare indietro,
ma non è possibile. Che un figlio la vita te la cambia, volente o
nolente. E sta a te decidere in che modo, abbracciando il
cambiamento o affannandoti per mantenere viva quell’illusione del
‘prima’, anche se sai che basterà un raffreddore a mandare all’aria
tutti i tuoi piani.”
Ma in tutto ciò c’è una certezza, anzi due.
“Prima, non mi sono mai sentita meno donna a causa dei figli. E,
seconda ma non per importanza, ci si può reinventare sempre. Io
ne sono la prova. Appena i miei primi due bimbi hanno raggiunto
una certa indipendenza mi sono dedicata alla corsa, alla scrittura.
Ho raggiunto traguardi individuali di tutto rispetto e di cui loro sono
fieri. Ho trasmesso loro l'importanza di avere passioni. Tutto questo
senza mai anteporre i miei bisogni ai loro. Ce la si fa, fidatevi.
Diffidate invece di chi vi dice che dopo vi aspetta una vita vuota
fatta di rimpianti, di chi paventa un futuro di solitudine. Perché i
bambini crescono troppo in fretta, e vale la pena godersi ogni
attimo. Giorno per giorno li vedrete allontanarsi, un passo dopo
l’altro. E magicamente vi ritroverete di nuovo padrone del vostro
tempo e ancora capaci di inseguire i vostri sogni (lavoro a parte
perché, ahimè, l’Italia non è un paese per madri lavoratrici e ancora
troppo spesso quello della carriera rimane l’unico treno che, una
volta perso, difficilmente passerà di nuovo… ma di questo ne
parleremo un’altra volta).”
Dopo quattro figli, Maena non si è mai sentita meno donna: ha
corso, scritto, raggiunto traguardi personali e insegnato ai suoi
ragazzi l’importanza delle passioni. “Un giorno,” racconta “tornerò
padrona del mio tempo. Ma non avrò perso nulla: avrò guadagnato
ricordi e amore.” Perché la maternità, per lei, non è annullamento,
ma un modo diverso di reinventarsi, giorno dopo giorno.