“Non sono quella violenza”: il coraggio di Simona Deiana oltre lo stupro diventa un libro

  È il 16 gennaio del 1993 quando Simona Deiana, cagliaritana oggi 52enne, non ancora ventenne, è in auto con il suo ragazzo. Sono giovani, è una bella serata, nessuna nuvola mina il cielo. Sono un po’ appartati, si godono il buio di quella che è una notte normalissima. Eppure… eppure lei ha un brutto presentimento. E chi lo sa cosa accade certe volte nella mente perché i sensi si accendano e si mettano in allerta. E difatti, tre sagome vengono partorite dal buio più cupo. Hanno un fucile. Portano lui giù dall’auto, in un casolare, e lei lo sa. Se lo sente. Razionale, lucida: capisce. Vogliono lei. In un modo disumano, brutto, lercio. Ma lei, che vittima non si è mai sentita, non accetta senza richieste. So cosa volete, e so che vi prenderete il mio corpo nonostante tutto, ma voglio tre cose: questo il succo della storia. Simona vuole che nessuno maltratti il suo ragazzo, che non picchino lei e che stiano attenti per evitare gravidanze indesiderate. Sembra un film, una ragazzina che – già donna, con un’energia pazzesca e una forza invidiabile – conduce una trattativa con degli aguzzini. Che, pazzescamente, accettano, chiedendo in cambio di non venire denunciati. E poi, da mostri quali sono, la violentano a turno. Uno addirittura quasi si scusa, mentre abusa di lei. Poi, mantengono la promessa: fatto il loro comodo, riportano il ragazzo e li lasciano liberi. Forse pensano di averla spezzata, ma Simona è di ferro. Anzi, di acciaio. E sa: li denuncerà. “Hai sentito dire che, dopo la violenza da parte di uno sconosciuto, una donna può sentirsi sporca. A te non sta capitando. È strano, in qualche modo ti sembra di essere migliore di prima. E pulita, pulitissima.” Parte un’indagine che porterà a un colpevole. E la rinascita di Simona partirà da questo fatto terribile, aberrante. Da quella sera del gennaio del ’93, quella sera che cambiò tutto. Perché lei lo sa: bisogna affrontarli, i propri mostri. Bisogna combatterli con unghie e denti. Osteggiarli. Sbattere contro loro il muso. E superarli. Lo fa, sempre con il sorriso. Un sorriso bellissimo che oggi è il suo marchio di fabbrica.

  Non hai subito nessuna profanazione, se non ti senti profanata. E la loro violenza primitiva è solo il convulso dibattersi dei deboli, delle anime perse che, ferite, feriscono. Da questa vicenda disumana avvenuta a Simona Deiana, nasce un libro, Plumeria di gennaio (scritta con Andrea Fanti, amico da quel lontano 1993, allora vice della Mobile), dove c’è tutto, ma proprio tutto. Il suo percorso è racchiuso in trecento pagine. E sembra proprio di sentirla parlare, questa donna meravigliosa che ha un universo dentro sé. “Sei stata ferita, Simona, e lo sai. Sai anche che, da feriti, si inizia a guarire oppure si muore. Il mistero sta in cosa spinge a scegliere fra una strada e l’altra. La maggior parte delle persone crede di poter stare nel mezzo. Senza guarire ma anche senza morire. Certo, alla fine si muore comunque. Però dopo aver vissuto feriti.” Nelle pagine, lo stupro è solo un punto di partenza. E così abbiamo accesso alla Simona più profonda. Il rapporto, particolare e pieno di sfaccettature, con la madre e il padre. La schizofrenia della mamma. Il rapporto con il fratello. La sua decisione di tenere tutto nascosto alla famiglia.

  Il matrimonio, il figlio, poi il divorzio. E la felicità accanto a un altro uomo, finalmente quello giusto. La ripartenza, dalle piccole cose. Una pasta alla crema. Un cappuccino. Ma non solo. La sua arte, nata poi Simona, con le sue figure, racconta il mondo femminile. Brillanti, piene di colore: le sue dee dicono tutto su di lei, su una potenza che porta nel cuore. Che le scorre nelle vene insieme al sangue. E viene da chiedere quanto coraggio ci voglia a essere pronta: a riprendere in mano la propria vita, a non farsi spezzare. Perché lei non è quella violenza. Quello stupro non la definisce. “Non sono le scelte fatte, a pesare, quanto quelle di fronte alle quali hai voltato testa e cuore, rifiutando anche solo di considerarle. E ora non ricordi quali fossero, così non puoi immaginarti come saresti se le avessi fatte.” Bello il libro, bella lei: e bello l’insegnamento più importante. Mai lasciarsi piegare, mai farsi spegnere il sorriso. E ripartire da sé, dalla propria interiorità. Sempre.

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