Sempre più casi di cronaca mostrano quanto la depressione post partum (DPP) possa
avere conseguenze devastanti.
“Parliamo di un disturbo depressivo maggiore che colpisce quasi il 30% delle neomamme
– spiega Paola Ferreli, psicoterapeuta ad indirizzo umanistico integrato e ipnoterapista
ericksoniana, formatrice con esperienza trentennale – e in circa metà dei casi i sintomi
iniziano già in gravidanza. Per questo si parla oggi di depressione peripartum e
postpartum”.
Baby Blues o depressione?
Il primo passo, è capire se è il Baby Blues: molte donne, nei giorni successivi al parto, si
sentono tristi, con l’umore molto ballerino.
“La differenza con la DPP sta soprattutto nella durata e nell’intensità. Il Baby Blues è
passeggero, tende a risolversi spontaneamente in poche settimane. La DPP invece può
insorgere lentamente e protrarsi oltre un anno dalla nascita del bambino”.
Il primo passo: chiedere aiuto
Il problema principale è riconoscere i sintomi. “Molte mamme li attribuiscono alla
stanchezza o pensano che passerà da solo. È fondamentale invece chiedere sostegno:
meglio un falso allarme che trascurare un disagio reale”.
Oggi, come sottolinea Ferreli, esistono molte possibilità: consultori, psicologi specializzati,
gruppi di auto-mutuo-aiuto, fino alla terapia farmacologica o alla terapia della luce.
“Sempre più si lavora in prevenzione già durante i nove mesi, quando i primi segnali
iniziano a farsi strada”.
I segnali da non ignorare
Anche familiari e amici hanno un ruolo centrale. Tra i fattori di rischio, ci sono, come
specifica l’esperta, “pregresse difficoltà psichiche, traumi, scarsa rete di sostegno,
situazioni economiche complicate, abuso di alcol”. Accanto a questi possono emergere
sintomi specifici: ansia, collera, vergogna, pensieri suicidari, sentimenti di inadeguatezza,
trascuratezza verso sé stesse o verso il neonato. “Non basta leggerli su internet per fare
diagnosi – avverte la psicologa – serve sempre l’intervento di un professionista”.
Il ruolo del partner
Ma quello che non si sa, è che anche i padri vivono un percorso complesso: “L’uomo ha
bisogno di tempo per elaborare la gravidanza della compagna, che inizialmente
percepisce tutto in modo più razionale. Il suo atteggiamento però influenza molto il vissuto
della donna: può farla sentire accolta e sostenuta, o al contrario sola e criticata”.
Dalla diade alla triade
Spesso la maternità viene presentata come un’esperienza esclusiva tra madre e figlio. “In
realtà non dovrebbe escludere il padre: parliamo di triade, non di diade. Il compagno può
fare moltissimo: dal dare il biberon al cambiare pannolini, fino a gestire le faccende
domestiche. Nei corsi preparto invito sempre i papà a partecipare almeno una volta, anche
se purtroppo spesso disertano per lavoro o scarsa consapevolezza del loro ruolo”.
Prevenire la DPP
La depressione post partum è difficile da individuare, ma i fattori protettivi fanno la
differenza: “Un sostegno familiare costante, qualcuno che ascolti senza giudicare, una
buona intesa di coppia, una dieta equilibrata e un riposo adeguato riducono enormemente
il rischio e la durata della malattia”.
Anche i padri possono soffrire
“La nascita di un figlio è un passaggio cruciale, in cui nascono non solo un bambino, ma
anche una madre e un padre. Può esserci quindi anche una depressione paterna, che
colpisce dal 10 al 25% dei neopapà dopo i primi mesi di vita del piccolo”.
A volte si manifesta nella forma più lieve della sindrome della Couvade – con insonnia,
sbalzi d’umore, disturbi digestivi – ma può assumere quadri più seri, spesso legati al
disagio della compagna. “Quando la madre è depressa, il padre all’inizio prova a
proteggerla, poi può sentirsi impotente, escluso, criticato. È un circolo vizioso che mette a
rischio anche la coppia”.
Le parole che fanno male, e quelle che aiutano
Infine, Ferreli indica frasi da evitare (“E dai, basta non pensarci!”, “Hai tutto per essere
felice!”) e frasi che invece aiutano (“Ti ascolto”, “Conta su di me”, “Possiamo andare
insieme da uno specialista”).
“A volte basta sentirsi dire che non si è sole per cominciare a intravedere la luce”