Alle Saline di Carloforte non c’è più il rumore del vento che fischia tra i mucchi di sale, ma quello dell’abbandono. Le vasche si seccano, gli uccelli migrano altrove e il tempo, come sempre, fa il resto. Un patrimonio naturale e storico di valore europeo che lentamente si sbriciola sotto il sole, tra burocrazia, progetti mai decollati e promesse finite al macero.
Le Saline non sono un posto qualsiasi. Sono un Sito di importanza comunitaria, parte della futura riserva naturale dell’isola di San Pietro, casa del fenicottero rosa, del gabbiano corso, del falco pellegrino e di decine di specie rare. Una volta qui c’era la vita: gli operai del sale, le vasche lucenti, gli uccelli in volo. Ora resta un paesaggio sospeso, dove l’acqua arretra e la natura sembra in attesa di una decisione che non arriva mai.
Negli anni ’90, quando l’attività saliniera chiuse, la zona passò dal demanio statale alla Regione, poi al Comune, che promise un “risanamento ambientale e gestione sostenibile”. Il progetto c’era, i soldi anche: cinque milioni di euro stanziati nel 2016. Eppure, otto anni dopo, il risanamento è rimasto in gran parte sulla carta.
In mezzo, un labirinto di buone intenzioni e carte bollate: la richiesta di concessione mineraria per l’estrazione del sale, presentata da una società privata, la Saline di Mare s.r.l., sostenuta dall’ex sindaco di Carbonia Antonangelo Casula. Nel 2020, la Regione diede il via libera dopo la valutazione d’impatto ambientale. Tutto in regola, almeno sulla carta. Ma il sale non si è più visto.
Anche qui, come spesso accade, la teoria e la pratica non si parlano. Sulla carta si coltiva il cloruro di sodio, nella realtà si coltiva incuria. Le vasche si svuotano, le specie spariscono, e quel poco che resta rischia di non bastare neppure agli aironi più testardi.
Il Gruppo d’Intervento Giuridico denuncia ora il “progressivo degrado ambientale” e chiede chiarezza: accesso agli atti, controlli, responsabilità. Lo fa con la tenacia dei pochi che ancora credono che difendere un paesaggio significhi difendere se stessi.
Perché le Saline di Carloforte non sono solo un pezzo di terra. Sono la misura di come un Paese tratta i suoi tesori quando smettono di fruttare. E l’immagine di ciò che accade quando l’inerzia diventa politica di gestione.
Alla fine, resta la scena più amara: i fenicotteri che se ne vanno, i canali asciutti, il silenzio. Il sale, quello vero, è ormai solo nelle lacrime di chi guarda quel luogo e lo riconosce a fatica.