Alghero, Gaza e le coscienze lavate a buon mercato

Ad Alghero si interdiscono tratti di mare. Non per un’emergenza ambientale, non per tutelare la pesca o il turismo, ma per i rilievi propedeutici al più discusso dei progetti: l’eolico off-shore davanti a Capo Caccia. Centinaia di metri di mare chiusi, la popolazione lasciata a domandarsi se dietro i divieti ci sia la transizione ecologica o l’ennesima speculazione. E nel frattempo, cosa fa il Consiglio comunale? Porta in aula un ordine del giorno urgente sulla Global Sumud Flotilla, Gaza e le missioni umanitarie. Si legge nella nota: "L’iniziativa, promossa da un gruppo trasversale di consiglieri comunali rappresentanti di Movimento 5 Stelle, Alleanza Verdi Sinistra, Città Viva, Futuro Comune e Partito Democratico, nasce dalla preoccupazione per la situazione critica in cui versa la popolazione di Gaza e dalla necessità di tutelare i cittadini italiani che partecipano alle missioni umanitarie. Non possiamo permettere che la vita dei veri portatori di pace venga minacciata da chi, con scelleratezza e disumanità, continua ad alimentare lo spargimento di sangue di migliaia di persone indifese, utilizzando la fame, la sete e la privazione dei più basilari diritti umani come armi di distruzione e annientamento. Abbiamo il dovere morale di tutelare gli attivisti che con grande coraggio e spirito di abnegazione stanno affrontando questa eroica missione per portare sollievo a chi non ha più voce, sfidando i “grandi” della Terra pur di affermare i valori universali della dignità, della giustizia e della pace. I rapporti degli organismi internazionali e delle agenzie delle Nazioni Unite ci confermano quanto già sappiamo da troppo tempo: migliaia di donne, uomini e bambini a Gaza hanno urgente bisogno di beni di prima necessità, cure mediche e assistenza umanitaria. L’ordine del giorno, che sarà discusso dal Consiglio Comunale, impegnerebbe il Sindaco e la Giunta comunale a vigilare sulla sicurezza dei cittadini italiani coinvolti nelle iniziative umanitarie, sollecitare il Governo ad adoperarsi nelle sedi diplomatiche internazionali per garantire la sicurezza dei connazionali partecipanti e chiedere sostegno per ogni iniziativa volta a garantire un corridoio umanitario sicuro e stabile per Gaza”. Il documento, che richiama la Costituzione italiana, la normativa sulla cooperazione allo sviluppo, le Convenzioni di Ginevra e le risoluzioni ONU in materia di protezione dei civili, prevede la trasmissione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, alla Prefettura di Sassari e all’ANCI. I consiglieri proponenti hanno richiesto la trattazione urgente, motivata dall’attualità e dalla gravità della situazione umanitaria in corso”.

Giusto, dirà qualcuno. Nobile, dirà qualcun altro. Ma concreto per gli algheresi? Nulla. Perché la verità è semplice: Alghero non può fare nulla per Gaza. Non può fermare le bombe, non può aprire corridoi umanitari, non può proteggere i volontari italiani imbarcati nella flottiglia. È un gesto politico, un atto simbolico. Ma simbolico di cosa? Della nostra eterna abitudine a guardare lontano per non vedere ciò che accade sotto casa.

La città è stretta tra due fuochi. Da una parte, un mare blindato per l’avanzata delle pale eoliche, dietro cui si muovono capitali e interessi che poco hanno a che fare con la “sostenibilità”. Dall’altra, la politica che si divide sull’ennesimo ordine del giorno, discutendo di Gaza mentre le acque di Capo Caccia vengono consegnate a studi geofisici e battelli da ricerca.

E allora domandiamoci: chi difende oggi gli algheresi? Chi tutela il paesaggio che è ricchezza, identità e destino di questa città? O dobbiamo davvero crederci spettatori impotenti, buoni solo a commuoverci per le tragedie lontane e distratti mentre ci scippano il futuro davanti agli occhi?

Jean Raspail aveva scritto che l’Occidente si lava la coscienza con gesti inutili e proclami altisonanti, salvo poi rimanere indifferente alla propria sorte. Ecco: Alghero oggi sembra esattamente questo. Una città che discute di Gaza per non discutere di Capo Caccia. Che applaude alla flottiglia per non vedere le navi da ricerca che scandagliano i suoi fondali.

Siamo diventati bravi nell’esercizio della carità a distanza. Ci commuoviamo a buon mercato, a costo zero. Ma quando si tratta di alzare la testa, qui e ora, contro i rischi che incombono sulla nostra terra e sul nostro mare, allora preferiamo parlare d’altro.

Il destino non si costruisce con gli ordini del giorno. Si costruisce con il coraggio di affrontare la realtà. E la nostra realtà, oggi, non si chiama Gaza, si chiama Capo Caccia.

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