L’arte invisibile ha colpito ancora. E stavolta lo ha fatto con una potenza che neppure le più aggressive campagne politiche d’oltreoceano sono riuscite a contrastare. L’opera “Io sono” di Salvatore Garau, artista sardo classe 1953, ha conquistato Instagram con numeri da capogiro: un milione di like, oltre 34.000 commenti e più di 25.000 condivisioni, scavalcando contenuti dedicati a Donald Trump, Keanu Reeves e Gordon Ramsay. Il merito è del portale britannico Pubity, colosso social da oltre 40 milioni di follower, che nei giorni scorsi ha riportato all’attenzione globale l’opera immateriale venduta nel 2021 all’asta per 15.000 euro.
E non si tratta di una boutade. Non è ironia né provocazione da salotto. L’opera non si vede, certo. Ma esiste. Perché, come ripete da tempo lo stesso Garau, “l’arte immateriale è un contenitore di pensiero, e dove c’è pensiero c’è forma”. Il resto è rumore di fondo.
“Io sono” non è un oggetto, non è un’installazione. È un’idea. E come tutte le idee, ha bisogno solo di un contesto che la accolga. Quell’asta del 2021 – in cui il nulla venne venduto con tanto di certificato – sembrava un gesto isolato, o al massimo un episodio mediatico passeggero. Ma ora che l’eco digitale ha superato persino i giganti dell’infotainment globale, è difficile negare che ci troviamo di fronte a un’opera culturale compiuta, che ha messo in discussione i confini dell’opera d’arte stessa.
Garau non è nuovo a queste operazioni. A maggio ha presentato, presso lo Spazio Roseto di Milano, un’altra opera invisibile: “Autoritratto”. Invisibile anche questa, certo, ma con un peso concettuale che si fa sentire. “L’opera invisibile – afferma l’artista – fa affiorare, nell’inconscio collettivo, la paura del vuoto che in questo momento storico domina il pianeta”.
Ed è forse qui il vero nodo: in un tempo saturo di immagini, iperproduzione e consumo compulsivo, l’arte di Garau tace, ma grida. Sottrae, ma colpisce. È assenza che si impone con più forza della presenza. Una forma estrema di resistenza culturale, in cui il vuoto diventa specchio delle nostre inquietudini più profonde.
Salvatore Garau, già pittore e musicista, ex componente degli Stormy Six, si muove da anni in questa dimensione di arte concettuale radicale, che va oltre il visibile, oltre la materia. E ora il mondo social, spesso accusato di superficialità, gli restituisce un’inaspettata consacrazione.
La notizia può sembrare paradossale: un’opera che non si vede ha battuto Trump su Instagram. Ma a ben vedere, è la conferma che nell’epoca del tutto visibile, il vero lusso è l’invisibile. E forse proprio lì, nel vuoto che spaventa e attrae, si nasconde la forma più autentica di presenza.