Baltic Sentinel, il nuovo fronte della Nato nel Mar Baltico e il braccio di ferro con Mosca

  Si chiama “Baltic Sentinel”, ma a ben guardare è molto di più di una semplice operazione di pattugliamento. Il nuovo dispositivo Nato per la sorveglianza nel Mar Baltico si inserisce in un gioco di equilibri sempre più delicato, evidenziando l’importanza strategica di un’area che funge da cerniera tra il cuore dell’Europa e la Russia. Il recente summit di Helsinki ha chiarito le intenzioni dell’Alleanza: aumentare il livello di deterrenza, in particolare contro la cosiddetta “flotta ombra” russa, colpevole – secondo i leader baltici – di destabilizzare la sicurezza marittima e, contestualmente, di minacciare le infrastrutture sottomarine. Il Baltico è un mare semichiuso che bagna Paesi storicamente sensibili alla proiezione russa: Finlandia ed Estonia, in primis, ma anche Svezia e Lettonia. Non sorprende quindi che questi Stati spingano per una maggiore presenza Nato, avvertendo il rischio di ingerenze dirette o indirette. Le condotte di gas e i cavi internet sottomarini che solcano queste acque rappresentano un nervo scoperto per l’intero continente, essenziali al funzionamento dell’economia europea e potenziali bersagli di attacchi o sabotaggi. È attorno a questi asset chiave che ruota la nuova iniziativa lanciata a Helsinki. Operazione militare o mossa geopolitica? Baltic Sentinel prevede l’impiego di navi militari, aerei da pattugliamento e droni sottomarini per monitorare i fondali. Nella visione dell’Alleanza atlantica, il dispositivo deve scongiurare qualunque attività “ostile o sconsiderata” contro pipeline, cavi di comunicazione e altre infrastrutture critiche. Ma dietro la dimensione militare c’è la sfida geopolitica: si tratta di mandare a Mosca un messaggio chiaro sulla presenza Nato in un mare che il Cremlino considera tradizionalmente un confine sensibile. Allo stesso tempo, gli Stati della regione cercano di sottrarsi al destino di “terra di passaggio” e di assumere maggiore autonomia strategica, ponendosi in prima linea nel coordinamento con Bruxelles e Washington. Secondo le valutazioni dei governi baltici, la Russia sfrutterebbe navi civili e mezzi non identificati – definiti come “flotta ombra” – per attività d’intelligence o addirittura per il trasporto occulto di armamenti e rifornimenti. 

  Dalla prospettiva degli alleati, queste operazioni avrebbero tre effetti immediati: compromettere l’integrità delle strutture sottomarine, incrementare i rischi ambientali (ad esempio in zone dove giacciono vecchie munizioni chimiche) e, non meno importante, alimentare il finanziamento dell’offensiva russa in Ucraina. A Helsinki, accanto ai leader degli Stati affacciati sul Baltico, era presente anche la vicepresidente Ue con delega a Tecnologia e sicurezza, Henna Virkkunen, a testimonianza di come Bruxelles veda nella protezione delle infrastrutture sottomarine un tema prioritario. La richiesta di rafforzare la cooperazione tra Nato e Unione è un tassello essenziale: da un lato, l’Ue possiede competenze normative e può coordinare azioni sul piano sanzionatorio, dall’altro, la Nato garantisce le risorse militari e l’expertise necessarie per una sorveglianza marittima capillare. In altre parole, l’Unione completa e legittima sul versante civile ciò che la Nato predispone su quello militare. Malgrado i toni ufficiali suggeriscano che Baltic Sentinel sia un puro strumento di difesa, la Russia potrebbe percepirlo come un ulteriore allargamento dell’influenza occidentale in un mare da sempre considerato prolungamento della propria sfera di sicurezza. È probabile che il Cremlino reagisca intensificando pattugliamenti e mostrando i muscoli lungo le sue coste baltiche, a maggior ragione ora che Finlandia e Svezia (quest’ultima in attesa di formalizzare l’adesione Nato) stanno di fatto ridisegnando la mappa strategica della regione. La vera sfida, per i leader baltici, sarà mantenere un equilibrio tra la difesa delle proprie infrastrutture e la prevenzione di possibili escalation. Non si tratta solo di evitare azioni ostili sul piano militare, ma anche di far sì che l’economia europea, già provata da crisi energetiche e contraccolpi globali, non subisca ulteriori scossoni per tensioni nel Baltico. Ciò richiede una sintesi tra gli interessi di ciascun Paese rivierasco e quelli, più vasti, di un’Europa ancora in cerca di una sua coesione geopolitica. In definitiva, Baltic Sentinel è qualcosa di più di una semplice manovra: è il tentativo di rafforzare una zona cruciale per la partita globale, un confine marittimo che rischia di trasformarsi in un terreno di confronto diretto tra l’Occidente e la Russia. La sensazione è che il Mar Baltico continuerà a essere un barometro delle relazioni internazionali nei prossimi mesi e anni: le scelte compiute ora in termini di deterrenza e coordinamento rischiano di segnare in modo duraturo gli equilibri di un’Europa che guarda a Nord, preoccupata e al tempo stesso determinata a difendere ciò che considera essenziale per la propria sicurezza.

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