Il Brotzu di Cagliari, il più grande e importante ospedale della Sardegna, rappresenta ormai il simbolo di un sistema sanitario regionale che sta collassando sotto il peso delle proprie inefficienze. Qualche settimana fa, i primari e capi dipartimento hanno firmato un documento di dissenso nei confronti della direzione sanitaria, denunciando condizioni di lavoro insostenibili, organici ridotti all'osso e una gestione che sembra lontana anni luce da qualsiasi logica di efficienza. Eppure, nonostante questa denuncia interna, nulla è cambiato. Siamo di fronte a un problema che va ben oltre l’organizzazione ospedaliera: riguarda il diritto stesso dei sardi a ricevere cure dignitose.
Il personale sanitario lavora in condizioni estreme, costretto a turni massacranti, spesso senza il supporto necessario. E non possiamo ignorare che molti di loro hanno perso il senso della missione che li ha portati a intraprendere questa professione. Troppi pazienti raccontano di essere stati trattati con sufficienza, con un atteggiamento di arroganza e indifferenza da parte di medici e infermieri che sembrano dimenticare che dietro ogni cartella clinica c’è una persona che soffre. Invece di ammettere gli errori o di mostrare un minimo di comprensione, si nascondono dietro la burocrazia, lasciando i pazienti e i loro familiari a sentirsi soli e impotenti di fronte a un sistema che sembra aver dimenticato il suo scopo.
Prendiamo il caso emblematico di F.P., una donna cagliaritana affetta dalla sindrome di Behçet, una malattia rara che richiede un trattamento specifico e tempestivo. Due mesi di attesa per ottenere un farmaco essenziale alla sua sopravvivenza, un ritardo che avrebbe potuto avere conseguenze gravissime.
E questo non è un caso isolato: la burocrazia sanitaria sembra fatta apposta per rendere la vita impossibile a chi è già costretto a convivere con una malattia debilitante. L’indifferenza mostrata nei confronti di questi pazienti è sconcertante, e ancora più sconcertante è il fatto che nessuno sembri pronto a prendersi le proprie responsabilità.
Le storie di malasanità in Sardegna sono tante e non riguardano solo il Brotzu. Gli ospedali del Nord Sardegna sono in crisi: il pronto soccorso di Ozieri è stato costretto a chiudere per mancanza di personale medico; a Sassari, si registrano attese interminabili, con pazienti abbandonati per ore nei corridoi senza ricevere assistenza. E mentre questo accade, la Regione Sardegna sembra più interessata a presentare progetti faraonici di nuovi ospedali che a risolvere i problemi delle strutture esistenti. I fondi ci sono, ma vengono gestiti male, o peggio, rimangono inutilizzati. Un esempio lampante: gli 8 milioni di euro destinati a ridurre le liste d'attesa per gli esami clinici sono rimasti praticamente congelati, un atto di negligenza che rasenta l’inosservanza del diritto alla salute dei cittadini.
La Corte dei Conti ha già espresso un giudizio severissimo sulla gestione finanziaria del sistema sanitario regionale. Non è solo una questione di fondi male impiegati: è una questione di totale incapacità di gestione. Eppure, nonostante i moniti, le denunce e le proteste, nulla sembra cambiare. L'ex assessore alla Sanità, Carlo Doria, ha terminato il suo mandato lasciando dietro di sé una scia di promesse non mantenute e problemi irrisolti, ma ha comunque trovato il modo di autopromuoversi a Capo Dipartimento. Questa è la realtà che dobbiamo affrontare: un sistema che premia l’incapacità e l’inerzia invece di punirla.
Ci si chiede poi come sia possibile che, in una regione con una delle spese sanitarie pro capite più alte d'Italia, i servizi siano così carenti. La Sardegna ha accumulato un saldo negativo di quasi 865 milioni di euro a causa della mobilità sanitaria, con migliaia di sardi costretti a cercare cure fuori regione perché qui non trovano la risposta adeguata. E la situazione è destinata a peggiorare se non si interviene con decisione.
C’è un problema sistemico, culturale, un’arroganza che permea l’intero settore. Medici e infermieri che non ascoltano, che rifiutano di ammettere gli errori, che trattano i pazienti come se fossero un fastidio. E poi ci sono quelle risposte sprezzanti ai familiari che cercano di avere informazioni, che chiedono solo di capire cosa stia succedendo ai loro cari. “Non faccia al lupo al lupo” è la frase che troppi si sono sentiti dire. Una frase che nasconde un messaggio più inquietante: “Non metta in discussione il nostro operato, non osi chiedere spiegazioni”.
La verità è che il sistema sanitario sardo non è più al servizio dei cittadini. È diventato una macchina burocratica che si muove per inerzia, dove l’efficienza e la competenza sono state sostituite dall'arroganza e dalla paura di affrontare la realtà. E mentre si continua a parlare, a presentare piani e progetti, la salute dei sardi continua a essere sacrificata.
Questa non è solo malasanità. È un fallimento collettivo, un tradimento di quel diritto alla salute che dovrebbe essere garantito a ogni cittadino. E finché non ci sarà il coraggio di ammettere gli errori, di cambiare davvero le cose, continueremo a raccontare storie di pazienti abbandonati, di medici che si nascondono dietro la burocrazia e di politici che promettono soluzioni che non arriveranno mai. Perché la verità è che, in Sardegna, la sanità è diventata un problema che nessuno sembra avere il coraggio di affrontare sul serio.