In tempi in cui la libertà di espressione dovrebbe essere un pilastro intoccabile, assistiamo invece a una crescente tendenza al conformismo, spesso mascherata da nobili intenzioni. Gli episodi più recenti non fanno che confermare quanto sia delicato il confine tra la tutela di certi valori e la loro distorsione.
Prendiamo ad esempio un episodio accaduto a Nichelino, dove un concerto e la partecipazione di un artista, Povia, a un talent sono stati cancellati dall'amministrazione comunale. Non è tanto la figura del cantante, né il suo repertorio, a meritare attenzione, quanto la ragione dietro questa cancellazione: le opinioni personali dell'artista, considerate non allineate a quelle del sindaco.
A qualcuno può sembrare un dettaglio, un evento marginale, ma la questione solleva interrogativi ben più profondi. Stiamo forse smarrendo il senso di ciò che significa convivere in una società libera, dove il pensiero differente ha diritto di cittadinanza?
Non si tratta di un caso isolato.
Assistiamo sempre più spesso a una sorta di "controllo preventivo" delle idee, un vaglio che decide cosa sia degno di ascolto e cosa, invece, debba essere messo a tacere. È curioso notare come chi un tempo si batteva contro ogni forma di censura ora sia pronto a tollerarla, se non addirittura a giustificarla, quando si tratta di opinioni scomode o impopolari. Il punto, però, è che la libertà non dovrebbe essere condizionata dall'approvazione di una maggioranza, ma garantita per tutti, a prescindere dal contenuto delle idee espresse.
Parallelamente, osserviamo con apprensione l’evoluzione di un altro fenomeno: la creazione di liste di proscrizione. Di recente, è stato pubblicato un elenco di "agenti sionisti" da boicottare, scatenando giustamente un coro di indignazione. Tuttavia, non possiamo ignorare che la pratica di etichettare e isolare chi non condivide una determinata linea di pensiero sta diventando tristemente comune. È accaduto con la guerra in Ucraina, dove chiunque manifestasse una posizione contraria alla narrativa dominante si è visto affibbiare l’etichetta di "putiniano", a prescindere dalla verità dei fatti.
Non siamo di fronte solo a una crisi di tolleranza verso il dissenso. Stiamo rischiando di scivolare verso una società in cui non è più accettabile pensare diversamente, pena l'esclusione dal dibattito pubblico. Anche il recente arresto di Pavel Durov, fondatore di Telegram, in Francia, solleva preoccupazioni. Non conosciamo tutti i dettagli, certo, ma ciò che emerge è un clima sempre più ostile verso strumenti che difendono la privacy e la libertà di comunicazione. Una volta, ci saremmo battuti per la difesa di questi principi; oggi, sembra che il mondo sia disposto a sacrificare libertà fondamentali pur di mantenere il controllo.
In questo contesto, l'Occidente rischia di perdere la propria coerenza, agendo spesso con due pesi e due misure. Si alzano barricate contro l'autoritarismo altrui, mentre in casa nostra ci lasciamo sedurre dall'idea che la repressione del dissenso, se fatta per una "buona causa", sia tollerabile.
La lezione della storia dovrebbe essere chiara: ogni volta che si tenta di soffocare una voce, per quanto scomoda, non si fa che impoverire il dibattito e rafforzare quelle derive autoritarie che si dichiara di combattere. Sta a noi riconoscere che la vera forza di una democrazia non sta nel silenziare chi dissente, ma nel garantire a tutti, senza eccezione, il diritto di essere ascoltati.