Il cognome Sangiuliano torna a far parlare di sé, ma stavolta in due contesti diversi che fanno riflettere su quanto la gestione del potere, pur con il passare dei secoli, possa mostrare tratti comuni. Da un lato, abbiamo Gennaro Sangiuliano, ex ministro della Cultura del governo Meloni, costretto alle dimissioni dopo essere stato travolto da uno scandalo che lo vedeva legato a Maria Rosaria Boccia, una giovane influencer che aveva cercato di far entrare nel ministero come consulente per gli eventi culturali. La vicenda ha fatto emergere non solo l’aspetto personale di una relazione extraconiugale, ma anche una gestione opaca di incarichi istituzionali. Gennaro Sangiuliano ha resistito per qualche giorno, negando ogni illecito di fronte alla stampa e cercando di mantenere il controllo della situazione, ma alla fine ha dovuto lasciare la poltrona, travolto dalle polemiche e dalle pressioni politiche.
Dall’altro lato, tornando indietro nel tempo, incontriamo un altro Sangiuliano, questa volta Antonino Paternò Castello di San Giuliano, ministro degli Esteri italiano all’alba della Prima Guerra Mondiale. È suo il commento che ha attraversato i decenni: "Ci siamo tolti la seccatura di Villa d'Este." Era il 28 giugno 1914, quando l'arciduca Francesco Ferdinando e sua moglie furono assassinati a Sarajevo da Gavrilo Princip, un atto che avrebbe cambiato le sorti del mondo.
San Giuliano, con una frase che ancora oggi suona di straordinaria superficialità, aveva liquidato la notizia della morte dell’erede al trono austriaco come un fastidio diplomatico, una noia in meno da gestire. Poche settimane dopo, l’Europa sarebbe stata trascinata in una delle guerre più sanguinose della storia.
Cosa lega questi due ministri, a distanza di oltre un secolo? È la leggerezza con cui hanno affrontato momenti cruciali. Nel caso di Gennaro Sangiuliano, si è trattato di un problema etico e politico, che ha rivelato una gestione poco trasparente del potere. Nonostante le sue dichiarazioni pubbliche e il tentativo di minimizzare il coinvolgimento dell’influencer nella vita del ministero, la pressione dell’opinione pubblica e la perdita di fiducia sono stati determinanti per la sua uscita di scena. Antonino Paternò Castello, invece, con una sola frase, dimostrò una visione politica incredibilmente miopica, incapace di comprendere l’immenso peso storico di ciò che stava per accadere. Quella “seccatura” avrebbe innescato il più grande conflitto del XX secolo.
Sebbene in contesti diversi, entrambi i Sangiuliano mostrano una certa arroganza nel minimizzare l’impatto delle loro azioni o delle situazioni che li circondano. Gennaro ha cercato di sminuire uno scandalo che riguardava la trasparenza e l’etica pubblica, mentre Antonino ha ridotto un assassinio politico di portata mondiale a una semplice questione burocratica. Due uomini, due scandali, una stessa tendenza a non cogliere la gravità del momento.
In questo confronto tra passato e presente, ciò che emerge è la ciclicità del potere e delle sue dinamiche. La storia ci insegna che gli errori si ripetono, e che spesso chi detiene il potere, pur con nomi e contesti diversi, non è immune alla tentazione di minimizzare eventi di grande rilevanza.