Da cinquant’anni la Sardegna soffre la sete. E nel Sassarese la sete è diventata abitudine, come il maestrale. Altrove, nel Cagliaritano, la modernità ha cancellato i serbatoi sui tetti e le vasche da bagno riempite di notte. Qui no. Qui, nel 2025, si aspetta ancora l’autobotte come un tempo si aspettava la pioggia.
Il comunicato di Abbanoa non lascia spazio ai giri di parole: i bacini del Bidighinzu e del Temo sono sotto i livelli minimi. A secco mezza provincia. Sorso, Sennori, Ittiri, Ossi, Bosa, Macomer, e pure Usini, Thiesi, Ploaghe, Uri. Nomi che tornano ogni anno come un rosario stanco, scandito dalla parola “interruzione”.
La Regione Sardegna, denuncia la consigliera regionale di Fratelli d’Italia, Francesca Masala, «è responsabile della gravità del problema perché negli anni non ha pianificato, non ha progettato, non è stata in grado di bandire appalti né di coinvolgere in gare nazionali e internazionali ingegneri e imprese». Non servono perifrasi: la politica non ha fatto nulla. O, se ha fatto, non si è visto. Masala parla chiaro, e non fa sconti neppure ai governi regionali di centrodestra che l’hanno preceduta: «La Regione non ha fatto niente e credo che continuerà a non fare niente, disperdendo risorse nel dichiarare l’emergenza annuale, ciclica e continua». Un’emergenza che, se si ripete ogni anno, emergenza non è più. È un fallimento di sistema.
Il costo? Milioni di euro in interventi-tampone, autobotti e promesse evaporate. E mentre si discute di fondi e appalti, la gente continua a lavarsi a turno, come negli anni Settanta. Masala conclude con un appello alla presidente Alessandra Todde: «Agisca ora che le acque, per lei, pare si siano calmate. Inizi a lavorare per risolvere i problemi delle nostre comunità». La battuta finale, verrebbe da dire, è già scritta: in Sardegna l’acqua manca, ma di parole ne abbiamo sempre in abbondanza.