Nel cuore dell'Urbe eterna, dove le pietre millenarie custodiscono le gesta di
imperatori e gladiatori, si chiude oggi la centottesima edizione della Corsa
Rosa con un epilogo che intreccia sacralità e profanità, trionfo e commiato.
Centoqarantatré chilometri quasi completamente pianeggianti attendono i
gladiatori delle due ruote, ultimi superstiti di una cavalcata che ha
attraversato l'Italia intera.
Prima ancora che la ruota tocchi l'asfalto romano, la carovana si ferma nel
cuore della Cristianità. Papa Leone XIV, vescovo di Roma e sovrano del
Vaticano, attende i corridori nei giardini vaticani con quella solennità che la
sua alta carica sa conferire agli eventi terreni. Simon Yates, il nuovo signore
della Maglia Rosa strappata ieri dalle spalle di Isaac Del Toro con un colpo da
maestro sui colli laziali, è il primo a chinare il capo davanti al Pontefice.
Seguono gli altri paladini: Del Toro con la sua Maglia Bianca di giovane
promessa, Mads Pedersen avvolto nel ciclamino della velocità, Lorenzo
Fortunato che indossa l'azzurro della montagna. Persino Nairo Quintana,
l'eterno romantico delle salite, si attarda qualche istante per scambiare parole
con Leone XIV, come se cercasse un momento di raccoglimento prima
dell'ultima battaglia.
Quando finalmente la processione laica riprende il cammino, Roma si
distende davanti ai ciclisti in tutto il suo splendore contraddittorio. Via
Cristoforo Colombo li guida verso il mare, mentre il sole di giugno accarezza
caschi e maglie multicolori. Il ritmo è blando, quasi contemplativo - dopo
ventun giorni di battaglia, anche i più fieri guerrieri concedono tregua ai
muscoli e al cuore.
I fratelli Yates pedalano fianco a fianco, Simon e Adam, uno coronato
vincitore, l'altro avversario leale in maglia diversa - il destino che divide anche
i gemelli quando la strada chiama alle armi. Dietro di loro, le squadre si
concedono brindisi con calici di plastica, celebrando conquiste e rimpianti.
Jacob Fuglsang pedala forse per l'ultima volta, portando nel cuore il peso di
una carriera che potrebbe chiudersi oggi, dopo aver attraversato un'epoca
intera del ciclismo mondiale.
Il mare di Ostia accoglie la carovana con la sua brezza salmastra. Qui
Fortunato, signore delle vette, fa brillare la Maglia Azzurra sul lungomare,
ironia dolce per chi ha conquistato la gloria sulle cime più aspre della
Penisola. Alessandro Tonelli e Dries De Bondt tentano una sortita verso il
primo traguardo volante, seguiti da Martin Marcellusi, ma sono schermaglie
senza veleno - Pedersen, matematicamente certo della vittoria nella classifica
a punti, osserva con il distacco di chi ha già vinto la sua guerra.
Il vero teatro della giornata si apre quando la corsa rientra nelle mura
aureliane. Nove giri di un circuito che abbraccia i Fori Imperiali, dove domani
sfileranno le fanfare del 2 giugno, mentre oggi risuonano solo il fruscio delle
ruote e il respiro affannoso di chi cerca gloria nell'ultima ora.
Michael Hepburn tenta la sortita dell'australiano coraggioso, presto raggiunto
da una brigata di indomiti: Luca Mozzato, Enzo Paleni, Josef Cerný, Andrea
Pietrobon, ancora Marcellusi. Alessandro Verre, splendido secondo ieri, li
raggiunge portando con sé il sapore della vittoria sfiorata. Cerný, il ceco che
corre con venticinque punti di sutura nel ginocchio, incarna lo spirito di questi
Giro - soffrire, resistere, non arrendersi mai.
Ventidue secondi di vantaggio massimo per i fuggitivi, mentre dietro le
squadre dei velocisti tessono le loro trame. Alpecin-Deceuninck, Team Picnic
PostNL, Team Visma | Lease A Bike si alternano nella caccia, dosando le
forze per l'epilogo che tutti sanno inevitabile.
Quando Pietrobon cede e viene riassorbito dal gruppo, la fuga si frantuma
come onda contro gli scogli. Paleni prova l'ultima disperata accelerazione, ma
presto deve alzare bandiera bianca. Cerný prosegue da solo la sua azione
coraggiosa, il ceco che corre con venticinque punti di sutura nel ginocchio,
incarnando lo spirito di questo Giro - soffrire, resistere, non arrendersi mai.
Ma il gruppo ha fame di velocità, e a cinque chilometri dal traguardo anche
l'ultimo romantico deve arrendersi.
Si materializza allora lo spettacolo più antico del ciclismo: la volata di gruppo.
Edoardo Affini orchestra la sinfonia del Team Visma | Lease A Bike con la
precisione di un direttore d'orchestra, portando il treno fino ai
duecentocinquanta metri finali. Wout van Aert, il belga dai mille talenti,
prende il testimone e lancia Olav Kooij verso la gloria.
L'olandese esplode negli ultimi metri con la violenza controllata dei grandi
sprinter, precedendo Kaden Groves e Matteo Moschetti sul traguardo che sa
di compimento. Pedersen, intrappolato vicino alle transenne, deve
accontentarsi del quarto posto, ma porta a casa la maglia ciclamino
conquistata con la costanza dei grandi campioni.
Mentre Roma applaude i suoi campioni di un giorno, la classifica generale
cristallizza una stagione di emozioni: Simon Yates sul gradino più alto, Del
Toro secondo a tre minuti e cinquantasei secondi, Richard Carapaz terzo a
completare un podio che racconta di generazioni che si incontrano e si
sfidano. Poi Derek Gee, Damiano Caruso, Giulio Pellizzari, Egan Bernal -
nomi che risuoneranno nell'eco delle prossime stagioni. E chissà, forse anche
quelli di Antonio Tiberi e di Giulio Ciccone che si è dovuto ritirare dopo la
caduta a Nova Gorica.
Quando le ombre si allungano sui sampietrini romani e l'ultima maglia rosa
viene indossata per l'ultima volta, resta la certezza che il ciclismo, sport di
fatica e bellezza, continua a scrivere le sue pagine più belle sulle strade
d'Italia. Olav Kooij alza le braccia al cielo di Roma, ma la vera vittoria
appartiene a tutti coloro che per tre settimane hanno trasformato l'asfalto in
epopea, la strada in leggenda.