Succede in Sardegna, nel cuore della Marmilla, che un sindaco pubblichi una foto e scriva: «È una nomade, attenti: controlla le case per poter agire indisturbata». Succede anche che quella donna, vestita di nero e ritratta in atteggiamento circospetto, non sia affatto una ladra, ma una stimata dottoressa della Asl, alla disperata ricerca dei suoi gatti scomparsi.
La vicenda è accaduta a Sardara, dove il primo cittadino Giorgio Zucca, eletto tra le file di Fratelli d’Italia, ha condiviso sui social una foto inviata – a suo dire – dai carabinieri. Il frame di un video ritrae una donna in strada. Il sindaco aggiunge l’allarme: «Massima attenzione». La voce si sparge veloce, e con essa il sospetto. In paese qualcuno riconosce quella figura: «Ma è la dottoressa».
Nel giro di poche ore, lo stesso sindaco è costretto al dietrofront: «Non è una nomade, ma una professionista della sanità che cercava i suoi gattini». Nessuna malafede? Probabile. Ma anche nessuna verifica.
Qui non si discute il diritto – e dovere – di un sindaco alla vigilanza sul territorio. Si discute, semmai, l’uso leggero del sospetto. Perché se basta un cappuccio scuro, uno sguardo distratto e una foto sfocata per trasformare un medico in ladra, allora siamo tutti potenziali colpevoli. E se questo errore arriva da chi dovrebbe usare prudenza istituzionale, allora il problema non è più l’identità della donna, ma la leggerezza nella responsabilità pubblica.
Il sindaco ha riconosciuto l’errore, sì. Ma il post è stato visto, commentato, condiviso. L’ombra del sospetto si propaga più in fretta della smentita. E la dignità, a differenza dei post, non si cancella con un clic.