Era un martedì mattina a New York, le 8.46, quando il primo aereo colpì la Torre Nord del World Trade Center. Alle 10.00 le Twin Towers non esistevano più. Quasi tremila vittime, quattro aerei di linea trasformati in missili umani da diciannove attentatori di al Qaeda. L’Occidente scopriva di non essere invulnerabile.
A distanza di ventiquattro anni il Ground Zero è diventato museo e sacrario, ma il trauma resta. Non solo per l’America. L’11 settembre 2001 ha aperto la stagione che ha dissolto la “fine della storia” proclamata negli anni ’90. Ha riportato la Storia, e con essa la guerra.
Osama Bin Laden giustificò l’attacco come vendetta contro la presenza militare americana in Arabia Saudita, considerata un’occupazione sacrilega dei luoghi santi dell’Islam. Era la rivolta del jihad globale contro l’impero. Ma quella mattina, più che gli obiettivi dei terroristi, si compì la metamorfosi americana: dalla superpotenza indiscussa del dopo-Guerra fredda, alla potenza imperiale disposta a usare la forza per difendere i propri avamposti.
Da allora il mondo ha conosciuto due guerre, in Afghanistan e in Iraq, e la costruzione di un sistema di sicurezza planetario. Aeroporti e porti hanno cambiato volto. Le libertà individuali sono state subordinate alla logica securitaria. Gli alleati sono diventati comparse in un teatro più grande: quello del dominio marittimo e tecnologico americano.
Per i credenti ideologici restò la narrazione dello scontro di civiltà. Per i geopolitici fu il ritorno dell’impero: l’11 settembre segnò la consapevolezza che gli Stati Uniti non potevano più governare con la sola attrattiva economica. Occorreva mostrare la spada.
Oggi, mentre l’Europa teme i droni russi e il Medio Oriente brucia tra Israele e Qatar, l’eco di quel giorno non si è spenta. Ogni volta che gli avamposti americani si espandono, che le basi si rafforzano, che gli alleati vengono richiamati a combattere, riecheggia la lezione delle Torri: l’impero non è amore, è potenza.
Le vittime innocenti dell’11 settembre meritano memoria e rispetto. Ma la loro morte è anche la radice della nuova epoca che viviamo: un mondo di guerre infinite, dove l’Occidente – provincia privilegiata dell’impero – combatte non solo per difendere la libertà, ma per riaffermare la supremazia del suo centro.