A marzo ha spento 45 candeline Ronaldo de Assis Moreira. Per tutti, Ronaldinho. Denti da ciuchino, ricci al vento e il sorriso di chi non invecchia mai.
In campo regalava magie da marciapiede brasiliano: finte, colpi di tacco, dribbling impossibili. Il pallone gli restava incollato ai piedi come un animale addomesticato.
Il ricordo più famoso? Il calcio di punizione contro l’Inghilterra ai Mondiali del 2002 in Corea. Lontano, quasi fuori dalla cartolina, inventò una traiettoria che superò David Seaman e si infilò in porta. Una fucilata mascherata da carezza. Il Brasile vinse il Mondiale anche grazie a quel colpo.
Nel 2005, al Santiago Bernabeu, i tifosi del Real Madrid – non proprio teneri con gli avversari – si alzarono in piedi per applaudirlo. Un privilegio concesso a pochi.
Ronaldinho non è stato solo un campione. È stato il calciatore che ricordava al mondo che il calcio è un gioco. E lui, quel gioco, lo sapeva fare meglio di chiunque altro.