Cagliari, 7 Maggio 2025 - Una giornata di forte mobilitazione ha scosso il mondo dell'istruzione sarda e nazionale. Docenti, personale ATA, genitori e studenti hanno incrociato le braccia in un coro unanime di protesta contro le recenti politiche governative che, a loro dire, minano profondamente il futuro della scuola pubblica.
Dalle prime ore del mattino, presidi e piazze si sono animate di striscioni e slogan che denunciavano una serie di provvedimenti percepiti come un attacco diretto alla qualità dell'insegnamento e alle condizioni di lavoro. Al centro della contestazione, una "valutazione" del personale docente giudicata punitiva e focalizzata sul controllo, che non terrebbe conto della complessità e della ricchezza dei percorsi educativi.
Particolarmente criticate anche le nuove Indicazioni Nazionali per l'infanzia, la primaria e la secondaria di primo grado. I manifestanti temono un appiattimento culturale e una chiusura verso l'interculturalità, a favore di un sapere meno vivo e partecipato.
Il recente Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) Scuola è un altro punto focale della protesta. Gli aumenti salariali definiti "irrisori" di fronte al crescente caro vita e ai carichi di lavoro insostenibili, unitamente all'introduzione della figura ambigua del "docente incentivato", alimentano un forte senso di frustrazione e impoverimento nella categoria.
Il nuovo sistema di arruolamento, che precarizza il lavoro e svaluta titoli ed esperienza, affidandosi a concorsi percepiti come opachi e algoritmici, ha acceso ulteriormente gli animi. La piaga del precariato, che nega diritti e stabilità a docenti e personale ATA, è stata al centro di accorate richieste di immissione in ruolo per tutti coloro che vantano almeno tre anni di servizio, e dopo 24 mesi per il personale ATA.
Non meno preoccupanti appaiono i tagli previsti dalla finanza pubblica, che rischiano di compromettere la qualità dell'istruzione e di penalizzare duramente il personale ATA, figura cruciale per il funzionamento quotidiano delle scuole.
Nel mirino della protesta anche lo sperpero di risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), destinate a tecnologie spesso considerate inutili e a una digitalizzazione che, secondo i manifestanti, rischia solo di aumentare il carico di lavoro e la frustrazione del personale.
Il dimensionamento scolastico, che porta alla creazione di istituti ingestibili, e la "riforma" degli istituti tecnici e professionali, percepita come un tentativo di trasformarli in serbatoi di manodopera gratuita per le aziende, completano il quadro di una scuola che si sente svilita, precarizzata e depotenziata.
La giornata di sciopero ha visto una partecipazione significativa in tutta Italia, con manifestazioni, sit-in e assemblee che hanno dato voce al disagio e alla determinazione di un intero comparto. Le parole d'ordine sono chiare: "Basta!" a una scuola depotenziata, è tempo di investire sul futuro dell'istruzione pubblica, valorizzando il lavoro di chi la manda avanti ogni giorno.
Roberto Fadda, reporter attivista politico, ha seguito da vicino le manifestazioni, raccogliendo le voci dei protagonisti di questa importante giornata di mobilitazione. "Oggi abbiamo assistito a un grido di allarme che non può essere ignorato," ha dichiarato. "La scuola pubblica è un pilastro della nostra società e merita rispetto e investimenti seri, non tagli e riforme calate dall'alto che ne minano la qualità e la dignità di chi ci lavora."
La protesta del 7 maggio rappresenta solo l'inizio di una mobilitazione che si preannuncia lunga e determinata, con l'obiettivo di ottenere risposte concrete e un cambio di rotta nelle politiche scolastiche nazionali. Il futuro della scuola pubblica è in gioco, e la comunità scolastica sembra intenzionata a far sentire la propria voce con sempre maggiore forza.