Quartu Sant'Elena, notte del 3 settembre. Il primo allarme arriva come tante altre chiamate: un uomo ferito da un presunto ladro, colpito mentre cercava di proteggere la sua casa. Una di quelle storie di paura e difesa che popolano i fatti di cronaca. La moglie racconta che il marito, sentendo rumori sospetti fuori dall’abitazione, era uscito a controllare. Poco dopo, lei lo trova a terra, sanguinante, colpito alla schiena da un aggressore misterioso che, dice, stava cercando di rubare una moto. La storia sembra semplice, quasi troppo.
Ma, come spesso accade, la realtà è più intricata e ben più dolorosa.
Dopo circa un’ora, la stessa donna chiama di nuovo la polizia, ma questa volta il quadro è cambiato. L'aggressore, dice, è tornato, e ora è armato di un machete. La polizia si precipita sul posto, e quello che trovano è sconcertante: l’aggressore non è uno sconosciuto, ma il figlio diciassettenne della coppia, ancora dentro la casa, intento a devastare l’arredamento, costringendo la madre a fuggire all’esterno.
Quando gli agenti mettono in sicurezza il ragazzo, la verità finalmente viene a galla. Non c’era nessun ladro, nessun estraneo a minacciare la serenità domestica.
A colpire l’uomo non era stato un malvivente, ma suo figlio. Due coltellate alla schiena, risultato di una lite per futili motivi, forse una di quelle tensioni familiari che crescono sottotraccia e che, improvvisamente, esplodono in tragedia.
Un machete, una famiglia spezzata e una storia che avrebbe potuto avere un altro finale se solo qualcuno avesse visto prima i segnali. Ora il ragazzo è stato trasferito all’Istituto Penitenziario Minorile di Quartucciu, dove dovrà rispondere dell'accusa di lesioni aggravate. Il padre, invece, lotta in ospedale, non solo per la vita, ma anche per cercare di capire come tutto sia potuto andare così storto.
Quartu, quella notte, ha visto il lato più oscuro delle dinamiche familiari: quello in cui il sangue non è sempre più denso dell’acqua.