Luciano Spalletti ha chiuso la sua esperienza da commissario tecnico azzurro come chi scende dall’ultimo treno con il biglietto in mano ma lo sguardo rivolto altrove. Il successo per 2-0 sulla Moldavia, ultimo atto del suo breve regno azzurro, racconta di una vittoria di facciata, utile più per le statistiche che per le emozioni.
Una partita giocata in uno stadio semivuoto, contro una nazionale che nel ranking FIFA è più vicina al borsino della Nations League D che al Gotha del calcio europeo. Eppure, proprio la Moldavia parte meglio: squadra tosta, ruvida, che imposta il pressing alto e si rende subito pericolosa. Dopo 9 minuti, una rete viene annullata ai moldavi per un fuorigioco millimetrico. Un respiro di sollievo per Spalletti, uno dei tanti di una serata che, fosse stato per i primi 40 minuti, sarebbe stata un’agonia.
L’Italia palleggia, sì, ma a velocità crociera. Il gioco è prevedibile, la circolazione palla compassata, e l’ispirazione sembra roba d’altri tempi. Ci pensa Raspadori a spaccare l’equilibrio: il suo destro dal limite, secco e preciso, è una rasoiata che buca la diga moldava e dà senso al primo tempo. È il 40', ed è il primo vero sussulto della gara.
Nella ripresa entrano Barella e Di Marco, dentro muscoli e piedi buoni per chiudere la pratica. Lo fa Cambiaso al 50', lesto a sfruttare l’assist morbido di Frattesi e a spingere in rete il 2-0. Partita virtualmente finita, con la Moldavia che accusa il colpo e si spegne lentamente. Gli azzurri controllano, senza strafare, e portano a casa la vittoria in una serata che più che un addio somiglia a un congedo malinconico.
Il problema, però, resta. Perché se serviva un risultato per salvare la panchina, questo è arrivato troppo tardi. La disfatta in Norvegia, con quella difesa in balia degli avversari e un'Italia irriconoscibile, ha lasciato ferite profonde. Spalletti paga quell'umiliazione e saluta, probabilmente consapevole che qualcosa non ha funzionato: l’approccio, l’identità, la cattiveria agonistica.
Ora la palla passa alla Federazione, che cerca un nuovo CT. Si parla di Pioli, ma al di là del nome il problema è strutturale. Perché questa Nazionale sembra più bisognosa di un taumaturgo che di un allenatore. Manca il fuoco sacro, manca la cattiveria, manca soprattutto il senso del collettivo. Troppi solisti, pochi orchestrali.
La vittoria sulla Moldavia è una cartolina da un viaggio che non ha mai davvero preso quota. Un sorriso tirato per salutare, un sipario che cala senza applausi. E una domanda, sospesa nell’aria come l’odore acre della sconfitta evitata per un soffio: dove va l’Italia adesso?