La Sardegna, con la sua storia millenaria, le sue bellezze naturali e una cultura radicata, non può e non deve essere ancora una volta terreno di sperimentazione per scelte energetiche imposte dall'alto. L'idea di reintrodurre il nucleare nell'isola, per quanto venga presentata come "pulita" o "opportunità", solleva interrogativi profondi e inaccettabili per chi ha a cuore il futuro di questa terra.
Non si tratta di una questione di ideologia, ma di pragmatismo e di prudenza. La Sardegna ha già sulle spalle un fardello pesante di servitù militari, basi e altre infrastrutture che hanno limitato per decenni le sue reali possibilità di sviluppo. Pensare di aggiungere a questo quadro una o più centrali nucleari significa ignorare la lezione del passato e le esperienze drammatiche di altri territori.
La sicurezza, innanzi tutto. Un impianto nucleare, per quanto moderno, rappresenta un rischio intrinseco. E la Sardegna, con la sua sismicità, le sue coste battute dal mare e una densità abitativa che, seppur non elevatissima, è comunque presente, non può permettersi di giocare con un pericolo così grande. Eventuali incidenti, anche minori, avrebbero conseguenze devastanti e irreversibili sull'ambiente, sulla salute delle persone e sull'economia dell'isola, basata in gran parte sul turismo e sull'agricoltura di qualità.
E poi c'è la questione delle scorie. Dove verrebbero stoccate? Per quanto tempo? E con quali garanzie per le generazioni future? Non si può pensare di risolvere un problema energetico creandone uno ancora più grave, che ipotecherà il territorio per migliaia di anni.
Infine, ma non meno importante, il nodo della legittimità popolare. I pronunciamenti referendari sul nucleare sono stati chiari. Ignorarli sarebbe un atto di arroganza politica, un tradimento della volontà dei sardi. Come ha insegnato Antonio Gramsci, le grandi decisioni che plasmano il destino di una comunità devono nascere da un processo di egemonia culturale e popolare, non da imposizioni calate dall'alto o da accordi tra pochi. La Sardegna non è un territorio vuoto da colonizzare, ma una terra viva con un popolo che ha il diritto di decidere del proprio futuro.
Abbiamo già visto con le rinnovabili e le pale eoliche come l'assenza di pianificazione e di confronto abbia aperto la porta a speculazioni e a interessi che poco hanno a che fare con il bene comune. Non si può permettere che lo stesso accada con il nucleare, trasformando la Sardegna nell'ennesima zona di sfruttamento, a discapito della sua integrità e della volontà dei suoi abitanti.