Nel tessuto culturale della Sardegna, il Capodanno non è sempre stato un evento marcato dai festeggiamenti sfarzosi che conosciamo oggi. La notte del 31 Dicembre è ora un'attesa collettiva, piena di promesse e speranze per un futuro migliore. Le case s'illuminano di festa, e allo scoccare della mezzanotte, i sardi si scambiano auguri e promesse, brindando all'anno che verrà.
Questa moderna celebrazione contrasta con le usanze del passato, quando la Sardegna, seguendo il calendario bizantino e non quello gregoriano a causa della sua vocazione agropastorale e della lunga dominazione bizantina, festeggiava il Capodanno in settembre, noto come "Cabudanni".
Durante questo periodo si concludeva l'ultimo ciclo delle attività agricole prima del riposo invernale.
Le tradizioni legate al Capodanno, pur non essendo centrali nelle celebrazioni, erano fortemente intrecciate con il tessuto sociale e spirituale dell'isola. "De su Candelàrju" è una di queste usanze tramandateci grazie ai racconti di Grazia Deledda. Nel Nuorese e nel Nord dell'isola, i bambini andavano di casa in casa, chiedendo l'elemosina per i bisognosi. Questa questua si concretizzava in offerte di piccoli pani a forma di croce o bastoncini di pane a spirale e altri simboli di prosperità e buon auspicio.
La notte del 31 Dicembre si apriva con generosità alle richieste dei bambini, offrendo loro mandorle, noci, castagne, fichi secchi e nocciole. In alcune case, si preparava anche un pane speciale, "Su Candelàrju", che poteva assumere forme di uccelli o altri animali, un segno di benedizione per l'anno a venire.
Le arti divinatorie erano un'altra usanza capodanniera, spesso praticata dalle donne e condannata durante l'Inquisizione Spagnola, ma mai scomparsa. Ancora oggi, in alcuni angoli dell'isola, persiste "sa mexina e' s'ogu", un'eredità di questo patrimonio culturale. La novella "L'ospite" di Deledda ci racconta di come due chicchi d'orzo immersi in olio o acqua fossero usati per predire gli eventi futuri, una pratica che oggi appare quasi magica.
Non mancava la curiosità riguardo al futuro matrimoniale, soprattutto tra le ragazze in età da marito.
Questo è evidente nella novella "Il dono di Natale", dove la protagonista Juannicca interroga il cuculo sul suo destino matrimoniale, un rituale di speranza e previsione.
E se oggi la serata di Capodanno è ricca di feste e fuochi d'artificio, il saluto tradizionale "A Sa Noa!", che significa "Ci vediamo nell'anno nuovo", segue ancora la stessa logica di buon auspicio del passato, con la risposta "Deus bollat!", "Che Dio voglia!", un augurio che lega le persone nella speranza collettiva di un futuro radioso.
Così, mentre la Sardegna saluta l'anno vecchio e accoglie il nuovo con musica e festeggiamenti, è anche un momento per ricordare e onorare le tradizioni che hanno plasmato l'identità di un popolo unico, che da sempre ha saputo trovare un equilibrio tra il rispetto del passato e l'accoglienza del futuro.