Anche se ancora piccoli tutti sapevamo nuotare, merito de les mares del Solaio che conoscendo il pericolo ci facevano familiarizzare subito con l’acqua. Si usciva di casa direttamente in costume da bagno e calamari (dicasi di quei sandali in plastica a strisce, di vari colori e atti a evitare le spine di un animale marino oggi in via d’estinzione: il riccio di mare), senza asciugamano e altri ingombri inutili. Così al mattino e così al pomeriggio, senza pause, a la Punta de la fogna o a la platjetta del rucò petit, di pietrisco oleoso, di lato alla Punta. Qualcuno era mès negra di altri, più negra per dire più abbronzato, anche se non erano ancora i tempi della moda dell’abbronzatura.
E neppure i tempi attuali del rigurgito razzista, visto che negra era un metro di paragone e non un uomo ingiustamente considerato inferiore! Per i tuffi avevamo due alternative: l’escoll llong o la Punta de la fogna. Ovviamente c’erano delle controindicazioni, più per la fogna che per l’escoll llong: astenersi dai tuffi di primo mattino, quando la fogna riversava a mare los cagallons della prima visita al cesso, il mangime preferito de la salpuga e la llissa. La popolazione dei pesci era così numerosa che nel giro di mezz’ora si perdeva la traccia de tota la merda galleggiante. E se non era un cagallò era un gondò, testimone di intimità protette e proibite, forse adulterine, di amanti o di fidanzatini previdenti.
Vi lascio immaginare la fantasia di noi bambini di sette/otto anni: un palloncinooooo. Cazzu palloncino, faceva quello più grande, no veus qu’es un gondò! Si può dire che sia iniziato così il nostro corso accelerato di educazione sessuale, con il timore di scambiare un palloncino con quello che ormai per noi era si un giocattolo, ma di ben altro tipo e come si diceva allora: solo per adulti. E che voglia di diventare adulti! Gli abitanti del centro storico purtroppo cagavano anche dopo pranzo, e questo rappresentava un altro limite, almeno sino a quando salpugas e llissas non finivano di spartirsi tutti gli stronzi galleggianti. Ad una certa ora le prime a rientrare a casa erano le mamme del solaio: la reina, cocchetta, mara mia, xià Franca… Quindi per noi bambini si preparava il tempo dell’ultimo bagno, quello fuori controllo, senza l’occhio vigile degli adulti. Il solaio era un riservato ante litteram, nel senso che pochi estranei si inoltravano in questo territorio esclusivo, e chi lo faceva doveva essere accompagnato. Stavolta però la situazione era differente: in fila indiana, con in testa e in coda le maestre, les minyonas de la colonia presero possesso dell’escoll llong. Noi eravamo abbronzati e anche appena puzzoni; le ragazzine pallide, ben pettinate, in divisa con gonnellina e scarpette invidiabili. Noi con la voglia di crescere in fretta, freschi di un corso di educazione sessuale, loro sorprese dalla nostra presenza, un po’ a disagio, forse incuriosite e col desiderio di socializzare con la ciurma, maliziosette ma immobilizzate dallo sguardo severo delle maestre. Ci voleva un colpo di scena e solo noi potevamo agire per crearlo. Bisognava scomporre quell’ordine, far leva sulle emozioni, rivoluzionare la situazione, dare prova di coraggio, coinvolgere le piccole spettatrici, sconvolgere quella situazione solo apparentemente neutrale. Lo ban nunùns, gridò uno, e l’idea fu subito accolta. Giù l’unico pezzo che copriva le nostre pudenda ed esposizione al pubblico di glutei bianchicci e peduncoli spelati. Corsa sfrenata sulla punta e cabussò con tanto di salt mortal. Les minyonas erano vistosamente divertite e tifavano per noi, le maestre paurosamente in crisi e scandalizzate. Le ragazzine non obbedivano, inchiodate sullo scoglio si godevano lo spettacolo dei provetti nudisti, applaudendo ad ogni capovolta. Dobbiamo andare via, voltatevi, non guardate…e a noi: villani, cialtroni, buffoni. E mentre le maestre continuavano ad apostrofare la nostra esibizione con complimenti inusuali, qualcuno dei novelli nudisti, forse insospettito dal dizionario alquanto viscido, riportò il tutto a forme a noi più congeniali: bagassa, racchia, llinguima lo cul, e gli faceva la televisione.
Solo a fatica le due maestre riuscirono a portare via, spingendole di forza, le ragazzine della colonia, accompagnate dalle nostre urla vittoriose e da parolacce irripetibili. Ancora una volta la buona fama del solaio era salva ma soprattutto avevamo dato prova della nostra potente virilità de minyons senza pel. Lo so, col senno del poi non ci siamo comportati bene, però col senno di allora il nostro comportamento è stato eroico. I tempi cambiano, e cambiano anche i modi di trasgredire e di offendere. Non voglio dire che era meglio ieri, perché anche oggi ho visto cose davvero riprovevoli. Voglio solo dire che si può, e quando è necessario si deve, cambiare in meglio e non in peggio. Non è un vanto quello che ho raccontato, semmai è una macchia, seppur veniale. E comunque si è verificato in assenza de les mares del solaio, clandestinamente. Diversamente avrei raccontato un’altra storia, percosa la escavanada mes petita ci avrebbe fatto fare quattro giri e spegnere all’istante tutti gli ardenti bollori.
Racconto di Tonio Mura Ogno
Illustrazioni di Luciana Briganti Rosnati