Ilaria Salis irrompe nel Cpr di Macomer: «Una prigione etnica»

Con passo rapido e sguardo deciso, Ilaria Salis è entrata ieri nel Centro per il rimpatrio di Macomer senza preavviso, come si fa quando si vuol vedere la realtà senza che sia stata preparata per l’ospite. Il linguaggio è diretto, le parole pesano: «Una prigione etnica», l’ha definita. «Qui non ci sono delinquenti, ma persone senza un permesso di soggiorno in regola. Nient’altro.»

Europarlamentare e da poco tornata in Italia dopo mesi di detenzione in Ungheria, la Salis non si è fatta attendere sul terreno politico che più le sta a cuore: l’antirazzismo, il carcere, la privazione della libertà. Il blitz nel Cpr del Marghine – struttura circondata dalle polemiche fin dalla sua apertura – arriva poche ore prima della presentazione del suo libro Vipera, in programma stasera alla libreria Feltrinelli di Cagliari.

Dentro il Cpr, racconta Salis, la situazione è tesa. «Due giorni fa – ha dichiarato – otto persone sono state prelevate e deportate in Albania. A maggio c’è stato uno sciopero della fame. Uno si è cucito la bocca. Sono qui per verificare di persona le condizioni dei reclusi e il rispetto dei diritti fondamentali».

Nel Cpr di Macomer, aperto nel 2020 e contestato fin dal principio da associazioni e movimenti per i diritti umani, si trovano uomini in attesa di rimpatrio, spesso dopo lunghi percorsi di vita e lavoro in Italia. Uomini, non criminali. E questo – dice l’europarlamentare – è il punto: «Sono qui perché non hanno un pezzo di carta, non perché abbiano violato la legge penale».

La sua ispezione, non annunciata, riporta l’attenzione su una realtà che l’Italia preferisce non vedere. Muri alti, sorveglianza costante, silenzio amministrativo. E intanto, dentro, c’è chi aspetta. Aspetta di essere portato via. Aspetta di sapere se potrà restare. Aspetta, soprattutto, che qualcuno apra la porta e dica: vi stiamo guardando.

Ilaria Salis lo ha fatto. Lo ha fatto a modo suo, con la rabbia di chi il carcere lo ha conosciuto da dentro e con la convinzione – ideologica, se si vuole, ma solida – che i diritti valgono anche per chi non ha il permesso di soggiorno in tasca. E a chi la accusa di cercare pubblicità in vista del referendum, risponde con un sopracciglio alzato e una tappa in libreria: la politica, per lei, è stare dove le cose succedono. Anche se fanno male.

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