Offerte libere per la Messa? Una rivoluzione che puzza di ipocrisia

Il Vaticano ha partorito l’ennesimo decreto, stavolta per "liberalizzare" le offerte per messe, battesimi e matrimoni. Dal 20 aprile, giorno di Pasqua, i fedeli non dovranno più sborsare somme "fisse" per celebrare sacramenti o commemorare i defunti. Le offerte saranno libere, così dice il Papa, perché la Chiesa non è una dogana ma una "casa paterna". Parole tenere, commoventi quasi. Ma c'è un dettaglio: fanno a pugni con la realtà.

Sia chiaro: nessuno contesta l’idea di fondo. È bello pensare che i sacramenti tornino ad essere ciò che dovrebbero: atti di fede, non prestazioni a tariffario. Ma qualcuno dovrebbe spiegare ai parroci d’Italia come si sopravvive senza quel “tariffario” mascherato da obolo. Chi ha avuto un matrimonio in famiglia sa bene che sotto i fiori d’arancio si nasconde la lista delle “donazioni suggerite”: 100 euro per la Messa, 50 per il fiorista, 30 per il sacrestano. Tutto in nero, s’intende. Più che casa paterna, sembrava la sede di un’agenzia di pompe funebri.

Il Papa — lo stesso che ha detto “la Chiesa non è un’azienda” — dimentica che però l’apparato ecclesiastico assomiglia sempre più a un condominio in crisi: mancano i soldi per tutto, e le offerte obbligatorie erano l’unico modo per tenere su il tetto.

Ora arriva questo decreto del Dicastero per il Clero che vieta i “listini prezzi”. Una Messa con più intenzioni? Si può fare solo con il consenso scritto dei fedeli. Il sacerdote può trattenere un’offerta sola: le altre vanno a parrocchie “povere”. Ma chi decide quali lo sono? E soprattutto: davvero qualcuno crede che i soldi non continueranno a girare, solo con un po’ più di ipocrisia?

L’idea è giusta, l’intenzione lodevole, ma come al solito si fa finta che basti un decreto per cambiare una prassi antica quanto le candele sull’altare. Perché le offerte, quelle vere, quelle che tengono in piedi le parrocchie, non sono mai state libere: erano doverose, anche solo per evitare sguardi storti e chiacchiere da sacrestia.

Dunque: più trasparenza? Ben venga. Ma senza far finta che la povertà evangelica risolva i conti del parroco. Finché non si decide di dire le cose come stanno, anche in Chiesa il problema non sarà mai il peccato, ma l’ipocrisia.

E poi, diciamocelo: se davvero la Messa è gratuita, lo si dica chiaramente con un cartello fuori dalla chiesa. Se no, si rischia l’effetto contrario: i fedeli più onesti smetteranno di dare, quelli più furbi continueranno a farlo sottobanco. E il sacerdote? Con che cosa pagherà il riscaldamento della canonica? Con la “Evangelii Gaudium”? Oppure con i resti del cestino?

Il Papa predica la misericordia. Ma la misericordia non paga il mutuo.

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