L'angolo filosofico: L'abbandono, un nuovo radicamento nell'era della tecnologia

  Qual è il terreno sul quale possiamo oggi stabilire le nostre radici? Questo è l’interrogativo che ci viene proposto quando pensiamo all’abbandono, una via del pensiero che Martin Heidegger ci indica come necessaria, in una società sempre più dominata dalla tecnica. 

  La risposta potrebbe essere sorprendentemente vicina: è proprio il mondo della tecnica, che da un lato sembra offrirci tutto ciò di cui abbiamo bisogno, ma dall’altro rischia di soffocare il nostro essere, a suggerire questa possibilità. “La via che conduce a ciò che è vicino risulta sempre la più lunga,” scrive Heidegger. Il nostro rapporto con la tecnologia, infatti, ci appare tanto indispensabile quanto distorto. Le macchine e le apparecchiature non solo facilitano la nostra vita quotidiana, ma modellano profondamente la nostra esistenza.

  Dipendiamo ormai dai prodotti della tecnica, tanto che sarebbe folle rigettarli o combatterli, ma altrettanto folle sarebbe diventarne schiavi, piegando il nostro pensiero e il nostro modo di vivere a una logica che ci priva di libertà interiore. Il pensiero meditante, suggerisce Heidegger, richiede che non ci abbandoniamo a un’unica rappresentazione della realtà, come fossimo su un binario obbligato. Dobbiamo abbandonare l’idea di utilizzare la tecnica come unico filtro interpretativo del mondo e recuperare una visione capace di accogliere ciò che è “inconcepibile”. Questa strada, però, non implica la negazione della tecnica. Possiamo e dobbiamo fare uso della tecnica, ma allo stesso tempo mantenere una distanza interiore, un abbandono, che ci permetta di lasciar entrare nel nostro mondo i prodotti tecnologici senza permettere loro di prendere il sopravvento. 

  Heidegger descrive questo atteggiamento come un “dire sì e no al mondo della tecnica,” un modo di usare le macchine e al contempo lasciarle “a sé stesse, come qualcosa che non ci tocca intimamente e autenticamente.” Solo così il nostro rapporto con la tecnica può diventare “semplice e sicuro”: accettiamo di vivere con essa, ma evitiamo di identificarci totalmente con essa. Questa visione porta con sé un’idea di libertà diversa, che si apre a una dimensione profonda: l’abbandono di fronte alle cose e l’apertura al mistero. Nel mondo della tecnica, ci dice Heidegger, si cela un senso nascosto. Proprio perché il senso della tecnica non è immediatamente visibile, esso si presenta come un “mistero” che richiede un nuovo atteggiamento da parte nostra.

  L’abbandono, così inteso, ci invita a osservare il mondo della tecnica non come un fine in sé, ma come qualcosa che dipende da un “qualcosa di più alto,” un significato che non possiamo calcolare o misurare. Questa apertura ci permette di abitare il mondo in un modo completamente diverso, con radici nuove, più profonde e solide. Heidegger definisce questa prospettiva come una possibilità di “radicarsi nel proprio terreno.” L’uomo, come una pianta, è chiamato a crescere radicato nella terra. In questo senso, la tecnica può diventare uno strumento attraverso cui possiamo riscoprire una modalità autentica di vivere, anche se in una forma mutata rispetto al passato. Tuttavia, oggi siamo in fuga dal pensiero meditante. 

  “La fuga davanti al pensiero provoca l’assenza di pensiero,” dice Heidegger. Viviamo in una società che privilegia il pensiero calcolante, un pensiero che mette costantemente tutto “in conto,” in base a scopi predeterminati. Questo pensiero calcolante è certamente utile, perfino indispensabile, ma resta limitato. Non si interroga sul senso ultimo delle cose, non si apre al mistero della loro esistenza. È un pensiero che mira all’efficienza, ma che ci distoglie dalla riflessione più profonda su chi siamo e dove stiamo andando. Il pensiero meditante, al contrario, è un pensiero che richiede uno sforzo. “Ha bisogno di un’accuratezza ancora più raffinata di quella che caratterizza un qualsiasi altro mestiere,” sottolinea Heidegger, perché non si limita a dare risposte immediate. Come il contadino che sa aspettare la maturazione del seme, anche noi dobbiamo essere disposti a “raccoglierci su ciò che ci tocca più da vicino.” E questo significa, in ultima analisi, essere aperti a una qualità della vita che non si misura in termini di efficienza, ma in termini di autenticità e presenza. Forse, come suggerisce Heidegger, proprio l’abbandono di fronte alla tecnica potrebbe offrirci un nuovo radicamento. Non dobbiamo cercare altrove, né rifugiarci in un passato idealizzato. La via per una vita più autentica potrebbe essere proprio qui, in questo mondo dominato dalla tecnica, a patto che sappiamo abitare questa realtà con un atteggiamento di abbandono e di apertura al mistero.

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