La scena è pronta, le telecamere anche. Dopo i saluti di Alessandra Todde alla flottiglia per Gaza, arriva l’annuncio di Annalisa Corrado, eurodeputata PD/S&D: partirà con la Global Sumud Flotilla e chiama in causa il Quirinale. «Gentile Presidente Mattarella, invoco la Sua protezione per me e per tutte e tutti coloro che partiranno con la Global Sumud Flotilla. Lei è stato in questi anni un baluardo della nostra meravigliosa Costituzione e dei valori che rappresenta: oggi più che mai abbiamo bisogno della Sua autorevolezza».
Il tono è alto, la posta pure. «A Gaza non sono morti solo 65mila esseri umani, in gran parte civili e bambini: a Gaza sta morendo la democrazia, la fiducia nella politica e nelle istituzioni internazionali, tra silenzi e inazione. A Gaza stiamo morendo tutte e tutti noi. La Global Sumud Flotilla è la più incredibile e generosa iniziativa non violenta, disarmata, pacifica che la storia recente ricordi. È l’arca di Noè del nostro tempo, e la stanno facendo le persone, dal basso, con incredibile coraggio».
Corrado respinge le critiche: «Nulla è più falso. ho imparato a lottare contro le ingiustizie da bambina, ascoltando i racconti di mia nonna partigiana. Mi ha raccontato di come tante e tanti, senza alcun superpotere e con tanta paura, abbiano rifiutato di voltarsi dall’altra parte. Se le madri e i padri costituenti fossero qui oggi, sono certa che sarebbero su quelle barche, a difendere gli oppressi dagli oppressori». E chiude tornando a Mattarella: «Le scrivo, Presidente - conclude Corrado - perché la Global Sumud Flotilla ha bisogno di protezione internazionale, istituzionale e democratica. La protezione che proveranno a fornire i pochi parlamentari ed europarlamentari che saliranno a bordo delle imbarcazioni, mettendosi al servizio di questa meravigliosa operazione, non sarà sufficiente se mancherà la pressione dei paesi del mondo occidentale». Ultima preghiera laica: «Da persona priva di credo religiosi non sono in grado di invocare protezioni sovra-terrene, ma da fervente sostenitrice delle istituzioni e da persona con un profondo senso dello Stato, invoco la sua umanissima protezione su tutte e tutti loro, su tutte e tutti noi».
Fin qui il copione. Il resto è sostanza. Il nostro giudizio non cambia: il rischio che tutto si riduca a liturgia è alto. Barche, striscioni, parole forti. Poi i missili, le macerie, il blocco. E la diplomazia vera, quella che decide corridoi e pressioni, resta altrove. Intanto nessuno arma una flottiglia per Khartoum. Nel Sudan i morti non fanno audience e i porti non commuovono.
Resta l’immagine, potente e seducente, dell’“arca”. Ma la politica non è scenografia. È trattativa, leve, garanzie. Senza quelle, la rotta verso Gaza somiglia a un pellegrinaggio nel deserto: molta fede, poca acqua. Lo aveva previsto Jean Raspail nel “Campo dei Santi”: l’Occidente che trasforma il dolore in rito, e il rito in assoluzione. Va benissimo augurare buon vento. Purché a qualcuno spetti anche il compito, meno fotogenico, di portare a casa il risultato.