Il tema è tornato sul tavolo. Infiltrazioni mafiose, 41 bis in Sardegna, rischi per l’economia locale. L'ex sindaco Mario Conoci rompe il silenzio e chiama la città a non far finta di niente. «Il contrasto alla criminalità organizzata non è nelle mani dei Comuni», premette. Le indagini le fanno magistratura e forze dell’ordine. Ma i municipi non sono comparse: possono accompagnare, sostenere, tenere accesa la luce. Meglio parlare che tappare la bocca al problema.
Conoci lega il nodo alla scelta nazionale di concentrare in Sardegna molti detenuti al 41 bis. Una decisione che, a suo giudizio, porta scorie: presenze, interessi, ramificazioni. In una regione non attrezzata a dovere sul fronte prevenzione, il terreno diventa friabile. Oggi le mafie non entrano solo con la lupara. Entrano con fatture, società schermo e capitali sporchi che cercano lavatrici pulite.
Sull’ultimo punto l’affondo è politico. «Non è accettabile che la Sardegna venga trasformata, di fatto, in una sorta di “Cayenna italiana”». L’appello è al governo centrale e, a cascata, agli enti locali. Servono scelte, non slogan. E serve una comunità vigile, capace di reagire e di non cedere alla tentazione del quieto vivere. Perché il danno d’immagine non lo fa chi solleva il tema. Lo fa chi finge che non esista.
Fin qui l’analisi. Ora le domande. Se i Comuni non arrestano, possono però rendere la vita difficile ai soldi sbagliati. Trasparenza su appalti e subappalti. Filtri seri sulle concessioni. Vigilanza su compravendite lampo e affitti turistici anomali. Patti di integrità nelle gare. Rapporti stretti e pubblici con Prefettura e forze dell’ordine. Numeri periodici su interdittive e controlli. Sono anticorpi amministrativi, non scenografia. Costano fatica, non conferenze stampa.
Ad Alghero, dice Conoci, il dibattito c’è. Bene. Ma il dibattito, da solo, non blinda i cantieri né ferma il riciclaggio al bar dell’angolo. Servono atti, tempi, responsabilità. E la schiena dritta quando arrivano capitali “miracolosi” che promettono di risolvere tutto in fretta. La storia insegna che i conti, alla fine, li paga la città.
La chiusura è una chiamata collettiva: difendere il diritto a vivere in un territorio libero dalle mafie. Parole grandi, certo. Ma il modo per riempirle c’è ed è prosaico: fare bene le carte, controllare, spiegare. Il silenzio non fa rumore, è vero. Ma scava. Sempre.