TikTok, intelligence e il controllo delle menti: come il conflitto latente tra USA e Cina si allarga oltre Taiwan

  La contesa tra Stati Uniti e Cina non si limita certo ai soli scenari militari. Se il possibile conflitto su Taiwan è la questione principale, esistono tanti altri fronti, talvolta meno appariscenti, che plasmano la grande gara tra le due potenze. Uno di questi fronti è proprio quello dell’intelligence e del controllo delle informazioni, un dominio in cui un social network apparentemente innocuo come TikTok gioca un ruolo non secondario. Un tempo l’intelligence si faceva infiltrando fisicamente ambienti ristretti, come corti di sovrani o oligarchie politiche. Erano operazioni rischiose, lunghe, spesso inutili. Le élite molto spesso non sanno davvero cosa accade nel mondo nel momento in cui accade. Le intercettazioni, i travestimenti, i pedinamenti, raramente fornivano un quadro completo. Oggi, invece, i social network hanno rivoluzionato tutto questo. Attraverso le piattaforme digitali, miliardi di persone raccontano spontaneamente, senza accorgersene, ogni aspetto della loro vita, aspirazioni, paure, preferenze politiche, persino convinzioni strategiche. I social network svolgono dunque una duplice funzione: da un lato fanno intelligenza economica, cioè raccolgono dati utili alle imprese per vendere prodotti. 

  Ma dall’altro lato, e qui sta la parte più interessante, permettono il profiling completo delle popolazioni. Non è un caso che le grandi potenze geopolitiche non lascino che social network stranieri si diffondano liberamente sul proprio territorio. Gli Stati Uniti hanno i loro social — Facebook, Instagram, Twitter, ora X — e in linea di massima impediscono a potenze rivali di analizzare in profondità la loro popolazione. La Russia e la Cina fanno altrettanto, non consentendo l’ingresso massiccio di piattaforme estere. L’India, grande nemica della Cina, ha vietato TikTok già da anni. Così si arriva al punto cruciale: TikTok, la piattaforma cinese di brevi video, canzoncine e balletti, è diffusa in Occidente e soprattutto negli Stati Uniti. Qui conta oltre 100 milioni di utenti, molti dei quali adolescenti fra i 13 e i 19 anni. Ebbene, questi giovani americani, tra una decina o quindici anni, saranno gli stessi che, nell’ipotesi di una guerra per Taiwan contro la Cina, verrebbero chiamati a sostenere lo sforzo bellico. Attraverso TikTok, Pechino spera di studiare in anticipo la mentalità della futura generazione di americani, capire preferenze, inclinazioni, pulsioni. Questo è un vantaggio strategico, uno strumento di conoscenza che Washington non può permettere. Non a caso, al Congresso americano si discute di una legge per bandire TikTok. L’India l’ha già fatto, proprio perché teme l’influenza cinese. Gli Stati Uniti, però, come campioni (almeno dichiarati) della libertà di espressione, devono trovare una narrazione adeguata per vietare una piattaforma apparentemente innocua. Perché bandire un social di canzoncine e balletti? Non si può certo dire apertamente che è per proteggere la popolazione da uno studio di massa condotto da una potenza rivale. Ma troveranno una storia da raccontare, un motivo accettabile. E a quel punto anche gli alleati americani seguiranno, Italia compresa. D’altronde, se gli USA considerano TikTok un cavallo di Troia cinese, non possono lasciare che i propri partner ne restino esposti. Così il destino di TikTok si inserisce nella narrazione della rivalità tra Stati Uniti e Cina, la stessa che si gioca su Taiwan. Non è solo una questione militare: ci sono i dazi, che non servono a “rubare” la produzione industriale alla Cina, ma a limitare il surplus commerciale di Pechino, impedendole di usarlo per armarsi, ridurre i divari interni e rafforzare la propria influenza globale. Questi dazi restano al di là del colore politico del presidente americano, perché la competizione con la Cina è strutturale. Taiwan è il punto nevralgico, il banco di prova finale. Un luogo dove gli Stati Uniti, depressi o meno, dovranno decidere se mantenere il ruolo di potenza egemone o lasciarsi scivolare verso una fase di declino. Non è impossibile immaginare un impero che, per stanchezza, si lasci morire. 

  Ma non è questo il caso americano, che piuttosto sembra intenzionato a rivitalizzarsi di fronte alla sfida cinese. E Taiwan è la linea rossa. Qui non si può dormire, mentre altrove si può anche sonnecchiare. Il controllo, la tensione, la competizione a tutto campo (militare, tecnologica, informativa, commerciale) rimarranno il tratto distintivo dei prossimi anni, con qualsiasi presidente statunitense. Non sappiamo se la guerra scoppierà davvero, né se vedremo una terza guerra mondiale. Ma di certo Taiwan, TikTok, i dazi, l’intelligenza artificiale e i semiconduttori — tutto intrecciato in questa spirale di potenza e insicurezza — segnalano che la rivalità tra Stati Uniti e Cina è ormai pervasiva, presente anche lì dove non ce l’aspetteremmo: dentro uno smartphone, nel ballo di un adolescente americano che ignora di essere studiato da una potenza rivale, mentre a migliaia di chilometri di distanza si decide se, nei prossimi decenni, avremo o meno un’altra guerra mondiale.

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