Il campione del mondo conquista la centesima vittoria della carriera in una tappa che ha il sapore delle classiche del Nord.
La strada parla ancora sloveno. Tadej Pogacar sigla la sua centesima vittoria in carriera con addosso la maglia iridata, imponendosi nella quarta frazione del Tour de France 2025 che da Amiens conduce a Rouen attraverso 174,2 chilometri di puro spettacolo.
Una tappa che ha il sapore aspro delle classiche del Nord, con i suoi cinque gran premi della montagna sparsi verso il finale di un lungo un percorso ondulato che mette a dura prova gambe e nervi del plotone.
Il martedì mattina ad Amiens non promette nulla di buono per chi ha pagato dazio nella giornata precedente. Davide Ballerini si presenta al via fasciato come una mummia, mentre Laurence Pithie chiede subito l'assistenza della vettura medica ancora prima che la corsa prenda il via ufficiale. Sono i segni di un Tour che sta mostrando i denti già dalle prime battute, con cadute che diventano sempre più frequenti e che sollevano non pochi interrogativi sulla gestione delle sanzioni da parte della giuria.
Quando alle 13:36 la bandiera si abbassa, la corsa esplode immediatamente. Lenny Martinez e Jonas Abrahamsen scattano come schegge impazzite, seguiti a ruota da Thomas Gachignard che completa un terzetto destinato a dettare legge per gran parte della frazione. Il vento laterale di 18 km/h aggiunge pepe a una situazione già piccante, mentre Kasper Asgreen decide di giocare la carta del forcing solitario per raggiungere i battistrada.
Il danese della EF Education-EasyPost dimostra classe cristallina nel completare una rimonta che sa di impresa, trasformando il terzetto in un quartetto che per oltre cento chilometri tiene testa al plotone. Due minuti di vantaggio che sembrano una montagna da scalare, mentre dietro la Alpecin-Deceuninck di Silvan Dillier amministra con la saggezza di chi sa che il finale riserverà sorprese.
La prima scintilla scocca quando mancano settanta chilometri al traguardo. Le asperità cominciano a farsi sentire e il gruppo inizia a rosicchiare secondi preziosi ai fuggitivi. Le cadute si moltiplicano con una frequenza inquietante: prima Yevgeniy Fedorov e Matteo Vercher finiscono a terra trascinando con loro Sepp Kuss, poi tocca a Cees Bol e Ilan Van Wilder. Episodi che fanno riflettere sulla crescente pericolosità di un ciclismo sempre più veloce e nervoso, dove spesso la sfortuna viene sanzionata con la stessa severità della negligenza.
Il primo gran premio della montagna va ad Asgreen, ma è solo l'antipasto di quello che accadrà. Martinez prova a fare la differenza sulla Côte dedicata ad Anquetil, ma è ancora troppo presto per pensare al colpo grosso. Il gruppo, guidato da una UAE Team Emirates sempre più determinata, inizia a fare sul serio quando Tim Wellens prende le redini delle operazioni.
La Côte de Bonsecours, quella stessa salita dove Jean Robic si prese la maglia gialla nel primo Tour del dopoguerra, diventa il teatro delle prime scaramucce tra i grandi. Wellens macina asfalto con la metodicità del metronomo, mentre alle sue spalle Pogacar studia ogni movimento con la pazienza del predatore. Julian Alaphilippe, vittima di un problema meccanico, insegue disperatamente un gruppo che non lo aspetta.
Poi arriva il momento della verità. Mancano 7,5 chilometri e Victor Campenaerts decide di alzare il ritmo in modo devastante. Il belga della Visma-Lease a Bike trasforma il gruppo in una lunga fila indiana, mentre dietro di lui Vingegaard e van Aert preparano l'assalto finale. Felix Gall e Lipowitz pagano dazio, così come Buitrago. Il Tour inizia a fare selezione vera.
A cinque chilometri e mezzo dal traguardo, Pogacar decide che è arrivato il momento di mostrare i muscoli. Lo sloveno scatta secco seguito come un'ombra da Vingegaard, mentre van der Poel e Evenepoel si trovano costretti a inseguire. Per un attimo sembra che i due fenomeni possano decidere le sorti della tappa in un duello a due, ma il gruppo di testa si ricompone rapidamente formando un settetto di lusso.
Mathieu van der Poel, Tadej Pogacar, João Almeida, Jonas Vingegaard, Matteo Jorgenson, Remco Evenepoel e Oscar Onley: sette nomi che da soli valgono il prezzo del biglietto. Evenepoel prova il colpo a meno di due chilometri dal traguardo, ma è un fuoco di paglia che si spegne rapidamente. Il finale è tutto nelle mani di Almeida, che parte a mille metri con van der Poel incollato alla ruota e Pogacar che studia l'attimo giusto per sferrare il colpo decisivo.
Negli ultimi centocinquanta metri, quando la linea del traguardo inizia a farsi concreta, lo sloveno cambia marcia con una progressione che non ammette repliche. Van der Poel, sfinito dallo sforzo precedente, deve alzare bandiera bianca, mentre Vingegaard si accontenta del terzo posto che gli vale quattro secondi di abbuono.
La centesima vittoria di Pogacar arriva così, con il sapore dolce della maglia iridata e la consapevolezza di aver firmato un capolavoro tattico. Van der Poel mantiene la maglia gialla per migliori piazzamenti, ma la sensazione è che il vero padrone del Tour abbia iniziato a scoprire le carte.
Le cadute di oggi raccontano di un ciclismo che corre sempre più sul filo del rasoio, dove la linea sottile tra colpa e sfortuna diventa sempre più difficile da tracciare. Il fascino del Tour rimane immutato, ma la sicurezza dei corridori merita attenzione costante da parte di tutti gli attori in gioco, senza però eccedere nella severità verso corridori che cadono o scodano senza averne colpa.
Domani la cronometro dirà se questa quarta tappa è stata solo un assaggio o l'inizio di un nuovo capitolo della leggenda Pogacar. Con un occhio di attenzione nel seguire Evenepoel, la cui specialità sono proprio le corse contro il tempo.