Domenica sera, a Cagliari, con la brezza tiepida che sa di primavera e di salvezza. Una cornice
perfetta per chi sogna la permanenza e teme il ritorno agli inferi. Lì, tra il 25° e il 60°, si è
consumata la sentenza. La partita si è chiusa prima del triplice fischio. Il pubblico lo ha capito, e
per una volta ha lasciato lo stadio senza la gastrite.
C'è stato un tempo, nemmeno troppo lontano, (una settimana circa n.d.r.) in cui il Cagliari si
addormentava al fischio d’inizio e si svegliava solo quando le ambulanze portavano via l’umore dei
tifosi. Ma ieri, al sacro prato dell’Unipol Domus, qualcosa è cambiato. Non perché sia rinata una
squadra, sia chiaro — per quella ci vuole molto più che un pomeriggio di grazia — ma perché, per
una volta, non è stato il Cagliari a passeggiare in ciabatte. Stavolta erano gli altri. Il Venezia,
sonnambulo, molle, quasi svogliato. E il Cagliari? Lucido, concreto, cinico. Uno che approfitta della
debolezza dell’avversario e finalmente non si fa carico dei peccati altrui, ma li sfrutta. Come si fa
nei campionati veri.
Chi ha vinto? Il Cagliari, certo. Ma ha vinto anche il buon senso, ha vinto il realismo, ha vinto la
consapevolezza che quando l’altro si lascia pettinare come un barboncino da esposizione,
l’occasione va presa al volo. Ha vinto Mina, monumentale e imperioso come una statua equestre
piantata al centro della difesa, con la fascia da capitano a ornare la corazza. Ha vinto Zortea,
instancabile e furioso, che sembrava un ex ala brasiliana riciclata nel nostro campionato. E ha vinto
Piccoli, che dopo tante rincorse a vuoto ha finalmente infilato la porta, pure se prima ha fatto
bestemmiare mezzo stadio. Ha vinto Caprile, per paradosso: perché non fare nulla ma farlo con
disciplina e compostezza è talento raro. Gli altri? Chi ha dato, ha dato. Chi ha potuto, ha potuto.
È successo che il Cagliari ha segnato tre reti (sì, proprio tre), e il Venezia… no. Ma ridurre tutto al
tabellino è come leggere la Bibbia solo per contarci i salmi. Il Cagliari ha approfittato di un
avversario sgonfio, spento, quasi infastidito dal dover partecipare. Dopo l’uscita di Oristanio, che
per un po’ ha tormentato Zappa (più con l’ombra che con i fatti), il Venezia si è sbriciolato, e da lì è
stato tutto un dominare sardo. Attenzione però: non è stato un assedio, ma una gestione lucida.
La differenza l’ha fatta la determinazione. Cagliari attento, Venezia assente. Se l’avessero giocata
al parco sotto casa, qualcuno avrebbe chiamato i carabinieri per sbilanciamento di valori in campo.
Perché ogni tanto le stelle si allineano, e anche una squadra che ha arrancato per mesi può trovare
un giorno di grazia, un avversario in ferie, e un destino momentaneamente benevolo. Ma
soprattutto perché la Serie A non perdona i deboli e premia chi, almeno una volta, decide di esser
forte. Il Cagliari lo ha fatto. Ha giocato da grande con una piccola, cosa che purtroppo raramente
succede da queste parti. E il Venezia? Be’, il Venezia non ha giocato. Ha solo partecipato. Perché lo
abbia fatto così male, resterà un mistero. Ma forse, anche loro, non ci credevano più.
Il futuro resta incerto. La squadra è piena di prestiti, il tecnico resta un enigma tattico, e l’odore
della minestra riscaldata aleggia già nella sala mensa del mercato estivo. Ma almeno oggi, almeno
per questa domenica, Cagliari si gode una notte senza incubi. E scusate se è poco.