È un dato che fa rumore, ma soprattutto fa male: in Sardegna, il 17,2% della popolazione rinuncia alle cure sanitarie. Un sardo su sei, secondo i dati elaborati dal Centro studi della Cgil regionale su base BES Istat, sceglie – o meglio, è costretto – a rinunciare alla tutela della propria salute. L’isola si piazza così in cima alla triste classifica nazionale, ben oltre la media italiana del 9,9%. E ciò che preoccupa ancora di più è che questa percentuale era già drammaticamente alta l’anno precedente, al 13,7%. Segno che la situazione non solo non migliora, ma peggiora.
«Questo ulteriore peggioramento deve interrogarci sulle azioni intraprese e da intraprendere per invertire la rotta» è il commento del segretario regionale della Cgil, Fausto Durante. Il quadro che emerge è quello di un sistema sanitario in affanno, con un impatto diretto e crudele sulla vita quotidiana dei cittadini. Non solo si rinuncia a curarsi, ma si vive di meno e peggio: la speranza di vita alla nascita in Sardegna è di 82,8 anni contro gli 83,4 della media nazionale. Ma è il dato sulla speranza di vita in buona salute a colpire ancor più duramente: appena 55,8 anni, rispetto ai 58,1 dell’Italia intera.
Secondo la Cgil, il problema è strutturale: «È un circolo vizioso: la sanità pubblica non garantisce sempre l’accesso alle cure, le liste d’attesa scoraggiano i pazienti, e i redditi bassi rendono impraticabile anche la mobilità verso altre regioni». Il dato sulla mobilità sanitaria lo conferma: solo il 7,1% dei sardi riesce a curarsi fuori regione, contro l’8,6% della media nazionale e l’11,3% del Mezzogiorno.
A rendere la situazione ancora più allarmante è lo stato d’attuazione del PNRR nella sanità isolana. Nonostante i 604 milioni di euro destinati alla Sardegna per 284 progetti tra Case della Comunità e Ospedali di Comunità, al 31 dicembre 2024 era stato speso appena il 6,5% dei fondi. Peggio ancora, solo il 3,8% dei 94,5 milioni per le Case della Comunità risulta utilizzato (contro una media nazionale del 12,4%). Per gli Ospedali di Comunità, il dato si ferma al 4,2% su 48 milioni (media nazionale 11%).
Certo, qualche segnale di progresso c’è: il ritardo nell’avvio dei lavori per le Case della Comunità è sceso dal 93,9% di fine 2024 al 78% di marzo 2025; per gli Ospedali di Comunità, dal 84,6% al 62%. Ma si tratta di miglioramenti che lasciano l’Isola comunque tra le peggiori regioni d’Italia, seconda solo al Molise.
Dunque, a fronte di una popolazione sempre più fragile, di un sistema sanitario che fatica a reggere e di fondi che restano al palo, il grido d’allarme della Cgil è più che giustificato. La domanda, a questo punto, è una sola: chi risponde al diritto negato di curarsi?