La sessualità della donna sarda e il potere della vagina nei secoli

  Se c'è un argomento che ha plasmato la storia, la società e la cultura sarda, è senza dubbio quello del ruolo della donna. Da secoli la donna sarda non è stata solo una figura di sfondo, ma un autentico pilastro, spesso sottovalutato, del tessuto sociale isolano. E, diciamolo senza troppi giri di parole, molto di questo potere ha avuto come simbolo centrale proprio la vagina.

  Non è un’esagerazione: basta guardare alla Dea Madre, quella figura primigenia con forme femminili che rappresentava il dominio sul mondo fisico e spirituale. Il potere della vagina, fin dai tempi più antichi, è stato associato alla creazione, alla forza, al mistero e al comando. Ma perché smettere qui? Non parliamo solo di simboli religiosi e mitologici. Eleonora d’Arborea e Adelasia di Torres sono due nomi che spiccano nella storia sarda, due regine che non solo guidavano il popolo ma incarnavano quel potere femminile innato, capace di comandare e di influenzare il corso della storia. E non parliamo di regine lontane o simboliche, ma di vere donne che, attraverso le loro azioni, plasmarono un'epoca. Anche le donne comuni, quelle del “volgo”, si ritagliavano il loro spazio di potere, protette persino dal codice legale. 

  In epoca medievale, sa sardisca garantiva loro diritti che molte altre donne in Europa potevano solo sognare: metà dei beni all'interno del matrimonio, diritti di proprietà e autonomia economica. Una vera rivoluzione per quei tempi. E poi la prostituzione, trattata con un pragmatismo sorprendente per l'epoca: nessuna emarginazione sociale, nessuna condanna. Le prostitute non erano affatto viste come figure deboli o emarginate, ma come donne che, pur tra mille difficoltà, riuscivano a mantenere dignità e rispetto, contribuendo persino al sostentamento familiare. 

  Non è finita qui: nel 1500 e nel 1600, l'accusa di stregoneria colpì molte donne sarde, ma spesso queste accuse si basavano su pratiche che, in fondo, parlavano di potere sessuale. La magia, in molte forme, era uno strumento di autodeterminazione, un modo per esercitare un controllo sul proprio corpo e su quello degli altri. Magia bianca, nera, incantesimi per stimolare il desiderio sessuale o per ottenere piacere: la sessualità femminile sarda era un'arma, un mezzo di potere. Qualcuno potrebbe storcere il naso, ma c'è qualcosa di profondamente ribelle in tutto questo. E anche di profondamente umano. 

  Con l’arrivo della modernità, i codici morali si stringono attorno alla sessualità della donna. L'atto sessuale al di fuori del matrimonio diventa condannato, e dopo il parto le donne dovevano purificarsi con il rito de s'incresiadura, quasi che la loro stessa femminilità fosse diventata impura. Ma nemmeno questa pressione morale è riuscita a soffocare del tutto il potere della donna sarda. Il Novecento ha visto una rinascita di questo potere, non solo in termini simbolici ma reali: la vagina diventa nuovamente un simbolo di libertà, di ribellione, di lotta.

  I cortei femministi degli anni ’60 e ’70 furono l’esempio più vivido di come la sessualità potesse essere un potente strumento di autodeterminazione. Il gesto della vagina, con le mani unite a formare un triangolo rovesciato, rappresentava non solo la libertà sessuale, ma l'intera lotta per l'emancipazione. E non parliamo solo di un simbolo di piacere, ma di qualcosa di più profondo: un ponte tra il mondo interiore della donna e quello esterno, una connessione con il proprio corpo e il proprio potere. Ora, se pensiamo alla Sardegna di oggi, le cose sono cambiate, ma non abbastanza. Certo, parliamo di gender free, di famiglie monogenitoriali, di coppie LGBTQ, ma quanto di tutto questo è realmente accettato? Se fossimo onesti, ammetteremmo che la società sarda, così come molte altre, è ancora impigliata in vecchie mentalità. 

  Il problema è che, nonostante l’apertura su certi temi, si continua a parlare poco, o male, della sessualità. Parlare di ciclo mestruale, ad esempio, sembra ancora un tabù. Lo si menziona solo quando si parla dell’IVA sugli assorbenti o delle superstizioni legate al ciclo durante certe attività tradizionali, come l’insaccamento della salsiccia (sì, accade ancora). E non ci fermiamo qui. Si parla raramente di contraccezione, come se fosse un argomento scomodo. Il risultato? Ragazzi e ragazze che a 12 o 13 anni si trovano ad affrontare gravidanze indesiderate. Malattie sessualmente trasmissibili? Sembra che l’HIV non esista più, e il papilloma virus è una realtà lontana. Insomma, su questi temi siamo ancora ancorati a un’ignoranza medievale. E questo non fa altro che perpetuare una società che si finge progressista, ma che in realtà è ancora legata a vecchie paure e pregiudizi. Alla fine, tutto ruota intorno alla vagina. È sempre stato così. Il sesso, la sessualità, il potere. La donna sarda, ieri come oggi, è la custode di questo potere. E, come secoli fa, la sua lotta per la libertà continua.

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