Con l’inizio degli anni ’60, l’Italia si trovava a dover affrontare le crescenti tensioni sociali ed economiche che erano emerse durante il boom economico. La stabilità garantita dal centrismo democristiano iniziava a vacillare di fronte alle richieste di riforme sociali più incisive. Fu in questo contesto che la Democrazia Cristiana (DC) decise di fare un passo storico: aprire le porte del governo al Partito Socialista Italiano (PSI), inaugurando l’era del centrosinistra. Questo esperimento politico segnò una svolta nella storia della Repubblica, portando alla nascita di una coalizione che avrebbe cercato di conciliare le esigenze di stabilità con quelle di riforma.
La decisione di aprire al PSI non fu priva di resistenze e difficoltà. La DC, sotto la guida di Aldo Moro, si rese conto che il modello di centrismo che aveva garantito la stabilità del Paese negli anni precedenti non era più sufficiente per affrontare le nuove sfide sociali ed economiche. Le tensioni sociali, le pressioni delle organizzazioni sindacali e la crescente richiesta di riforme spinsero la DC a cercare un nuovo alleato che potesse ampliare la base di consenso del governo e favorire l’attuazione di politiche riformiste.
Il PSI, guidato da Pietro Nenni, aveva ormai abbandonato la sua alleanza con il Partito Comunista Italiano (PCI) e si era avvicinato progressivamente alle posizioni più moderate della DC. Nel 1962, la coalizione di centrosinistra prese forma, con il PSI che entrò a far parte del governo, segnando la fine dell’isolamento politico che aveva caratterizzato la sinistra socialista nei primi anni della Repubblica.
La formazione del centrosinistra fu vista come un compromesso storico, un tentativo di conciliare le esigenze di stabilità, rappresentate dalla DC, con quelle di riforma, incarnate dal PSI. Tuttavia, questo nuovo equilibrio politico si rivelò fragile fin dall’inizio, con profonde differenze ideologiche che rendevano difficile l’azione di governo.
Il governo di centrosinistra si impegnò a promuovere una serie di riforme che avrebbero dovuto modernizzare il Paese e affrontare le disuguaglianze sociali. Tra le principali iniziative ci furono la riforma della scuola media unica, l’istituzione della nazionalizzazione dell’energia elettrica con la creazione dell’Enel, e il varo di leggi per la tutela dei lavoratori.
La riforma della scuola media unica, approvata nel 1962, rappresentò un passo importante verso la democratizzazione dell’istruzione in Italia. Essa stabilì l’obbligo scolastico fino a 14 anni e abolì la separazione tra scuola media e avviamento professionale, garantendo a tutti i giovani italiani un percorso educativo unificato e più inclusivo.
La nazionalizzazione dell’energia elettrica, un’altra riforma significativa, fu realizzata nel 1962 con la creazione dell’Enel (Ente Nazionale per l’Energia Elettrica). Questo provvedimento, voluto fortemente dal PSI, mirava a garantire il controllo pubblico su un settore strategico, riducendo le disparità nell’accesso all’energia e favorendo lo sviluppo industriale del Paese.
Tuttavia, nonostante questi successi, il governo di centrosinistra dovette affrontare anche numerosi ostacoli. Le tensioni interne alla coalizione, dovute alle divergenze ideologiche tra DC e PSI, rendevano difficile la realizzazione di riforme più ambiziose. Inoltre, l’opposizione del PCI, che vedeva nel centrosinistra un tradimento delle istanze più radicali della sinistra, contribuiva a mantenere un clima di conflitto politico e sociale.
Se da un lato il centrosinistra rappresentò un’importante apertura politica, dall’altro fu oggetto di critiche sia da destra che da sinistra. La destra, in particolare i settori più conservatori della DC e i partiti liberali, vedevano nel centrosinistra un pericoloso avvicinamento alle posizioni socialiste, temendo che ciò potesse minare la stabilità economica del Paese.
Dall’altra parte, il PCI, guidato da Luigi Longo dopo la morte di Palmiro Togliatti nel 1964, si oppose fermamente al centrosinistra, accusando il PSI di aver tradito le aspettative della classe operaia e di essersi piegato alle logiche del capitalismo.
Il PCI manteneva una posizione di forte critica nei confronti delle politiche del governo, denunciando il ritardo delle riforme e la scarsa attenzione alle reali esigenze dei lavoratori.
La sinistra radicale, cresciuta soprattutto tra i giovani, iniziava a vedere il centrosinistra come un compromesso al ribasso, incapace di rispondere alle aspirazioni di cambiamento che si stavano manifestando nella società. Queste critiche sarebbero esplose con forza negli anni successivi, alimentando i movimenti di protesta degli anni ’60 e ’70.
Nonostante le buone intenzioni, il governo di centrosinistra si rivelò un esperimento politico difficile da sostenere a lungo termine. Le tensioni interne alla coalizione, unite alle crescenti difficoltà economiche e sociali, portarono gradualmente al logoramento di questa esperienza politica.
Nel 1968, l’anno del Sessantotto, il governo di centrosinistra entrò in crisi. Le proteste studentesche e operaie, che chiedevano riforme più radicali e una maggiore partecipazione democratica, misero in luce i limiti di una coalizione che non riusciva a tenere il passo con i cambiamenti in atto nella società italiana.
L’esplosione del Sessantotto segnò la fine del primo esperimento di centrosinistra e aprì una nuova fase di turbolenza politica, in cui la sinistra e la destra si trovarono di nuovo contrapposte su questioni fondamentali come la giustizia sociale, i diritti civili e la riforma delle istituzioni.
Il centrosinistra rimane un capitolo complesso e ambivalente della storia politica italiana. Da un lato, rappresentò un tentativo coraggioso di conciliare le esigenze di stabilità con quelle di riforma, aprendo nuove possibilità di collaborazione tra destra e sinistra. Dall’altro, le difficoltà interne e le tensioni sociali mostrarono i limiti di un compromesso che non riuscì a rispondere pienamente alle aspettative di una società in rapida evoluzione.
L’eredità del centrosinistra è dunque contraddittoria: se da un lato segnò importanti progressi sul piano delle riforme sociali e dell’apertura politica, dall’altro rivelò le difficoltà di governare un Paese segnato da profonde divisioni e da una crescente domanda di cambiamento. Questo periodo sarebbe stato il preludio a una nuova stagione di conflitti e trasformazioni, che avrebbero profondamente influenzato il destino dell’Italia negli anni successivi.