La mattina di domenica 15 settembre, i Carabinieri del Comando provinciale di Oristano, l’Associazione nazionale Carabinieri guidata dal maresciallo in congedo Mario Fà, il sindaco Luca Corrias, autorità civili e militari e tanti cittadini hanno ricordato a Marrubiu il 43° anniversario dell’assassinio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, della moglie Emanuela Setti Carraro e dell’agente scelto di polizia Domenico Russo.
Una cerimonia sobria, sentita, che ha riaffermato il legame fra la comunità e l’Arma, e il valore di una figura che ha lasciato un segno indelebile. Nato a Saluzzo nel 1920, eroe della Resistenza, Dalla Chiesa si trovò negli anni Settanta in prima linea contro le Brigate Rosse, intuendo per primo la necessità di usare infiltrati per spezzare la catena terroristica. Lo stesso metodo lo aveva sperimentato a Palermo, quando guidava la Legione Carabinieri contro Cosa Nostra. Da Prefetto del capoluogo siciliano pagò con la vita la sua battaglia contro la mafia.
Molte delle intuizioni di Dalla Chiesa hanno ispirato la legislazione antimafia che ancora oggi resta un pilastro nella lotta alla criminalità organizzata. “La celebrazione rinnova il monito a mantenere sempre alta l’attenzione contro i tentativi di violenza e prevaricazione – ha ricordato il colonnello Steven Chenet, comandante provinciale dell’Arma – allo scopo di assicurare legalità e giustizia, imprescindibili coordinate della convivenza civile”.
La sua morte, paradossalmente, segnò l’inizio della riscossa dello Stato. Da quel giorno la mafia non poté più essere ignorata, né nascosta sotto il tappeto dell’omertà. Ma più delle leggi, resta l’eredità morale: il coraggio di vivere nella giustizia senza piegarsi alla paura.
Fra i passaggi più ricordati del generale, una frase che conserva intatta la sua forza: “Il miglior modo di combattere la mafia è garantire al cittadino i propri diritti, che viceversa diventerebbero solo appannaggio di pochi”.
Un monito che parla alle nuove generazioni, chiamate a non arrendersi mai al cinismo e a credere che lo Stato – se credibile – non lascia scampo alla mafia.