Due città diverse, stesso epilogo. A Olbia muore Gianpaolo Demartis dopo essere stato colpito dal taser. A Genova, pochi giorni dopo, la scena si ripete con un giovane. Due decessi che accendono il faro su uno strumento definito “non letale”, ma che di non letale sembra avere ben poco. Le Procure hanno aperto fascicoli per omicidio colposo. Quattro carabinieri finiscono indagati. Ed esplode la polemica.
Da una parte ci sono le divise, che chiedono tutele. Dall’altra, chi vede nel taser una minaccia sociale più che una soluzione.
Il segretario nazionale del Nuovo Sindacato Carabinieri, Ilario Castello, non gira intorno: “L’atto dovuto arriva come un orologio svizzero e colpisce, purtroppo, chi svolge il proprio lavoro”. Per lui non è accettabile che “operatori di Polizia si trovino iscritti nel registro degli indagati nell’espletamento delle proprie funzioni”. Sottolinea il dolore per i morti, ma difende i militari: “È impossibile tenere ancora in un limbo di instabilità chi è chiamato a operare in frazioni di secondi, per il bene della comunità e per la propria salvaguardia”. La richiesta è chiara: un tavolo tecnico e garanzie giuridiche. In sostanza, protezione per chi la divisa la indossa.
Dall’altra parte, la voce è quella del consigliere regionale Valdo Di Nolfo, che non risparmia colpi: «Sono completamente contrario all’uso del Taser. Viene impiegato spesso su persone in condizioni psicofisiche alterate: una scarica elettrica colpisce un corpo già in difficoltà e può trasformarsi in condanna a morte». Ricorda i tre decessi in pochi mesi e accusa: «Se trasformiamo Tso e Taser in strumenti di pulizia sociale abbiamo fallito». Secondo lui non è solo una questione di salute pubblica, ma di modello sociale: «Se si normalizza l’idea che chi è in difficoltà debba essere affrontato con un’arma, allora sparisce ogni principio di inclusione. Ancora una volta si usano le maniere forti contro i deboli e così si creano nuovi nemici sociali».
Due posizioni inconciliabili. Da un lato chi difende l’uso del taser come strumento di difesa per gli operatori, dall’altro chi lo considera un’arma che colpisce i più fragili. In mezzo, un Paese che piange due morti e si divide su una domanda semplice e terribile: protezione o repressione?
La risposta, come sempre, non sta nei comunicati ma nei fatti. Per ora i fatti dicono che i decessi ci sono stati. Il resto, come spesso accade in Italia, si discuterà a tavoli tecnici e nelle aule parlamentari. Nel frattempo, resta il dubbio: il taser salva vite o le toglie?