In un Paese che ama proclamarsi civile, il diritto al voto resta ancora, troppo spesso, un percorso a ostacoli. Lo dimostrano i fatti occorsi nella giornata di domenica a Cagliari e Alghero, dove l’apertura delle urne è coincisa, per molti elettori anziani o disabili, con la constatazione amara di vivere in una democrazia zoppa. Una democrazia che invita a votare, ma non apre le porte.
A Cagliari, nella scuola di via Redipuglia, i seggi sono stati allestiti al primo e al secondo piano. Peccato che l’ascensore fosse fuori uso, come segnalava un foglio scritto a mano affisso all’ingresso. Nessuna comunicazione preventiva, nessuna misura alternativa predisposta. Solo scale da salire, e la dignità da difendere a fatica. C’è chi si è aggrappato al corrimano, aiutato da figli o forze dell’ordine; c’è chi, stremato, ha rinunciato. Alcuni sono riusciti a votare nell’androne, grazie alla disponibilità di presidenti di seggio che hanno provato a supplire con l’umanità alle mancanze dell’organizzazione. Ma è poco, e arriva tardi.
«Forse sarebbe bastato allestire un seggio al piano terra per i più fragili», ha detto il signor Mario, elettore anziano, con una lucidità che sa di beffa. «Non è una questione di comodità, ma di diritti».
Più a nord, ad Alghero, il copione si ripete. Nella scuola elementare di via Vittorio Emanuele, Elisabetta Cambule, referente regionale del Coordinamento Nazionale per i Diritti delle Persone con Disabilità (CO.N.DA.V), si è recata al seggio alle otto del mattino. Aveva chiesto informalmente, nei giorni precedenti, che venisse lasciato aperto l’ingresso secondario, quello dotato di scivolo. Ma all’arrivo ha trovato la porta chiusa. «Mi hanno detto che non avevano ricevuto nessuna comunicazione – racconta – e che, per farmi un piacere, l’avrebbero aperta e poi richiusa». Ma i diritti non si chiedono per cortesia. Si garantiscono. E lei lo ha ricordato con fermezza.
Il diritto di voto è universale, ci insegnano. Ma universale non significa teorico. Significa accessibile, effettivo, rispettato. E non è tollerabile che, in pieno 2025, si debba ancora supplicare per una porta aperta, o per evitare trenta gradini.
La giornata si è conclusa con spirito di servizio da parte di agenti e volontari, ma il disagio resta. Come resta la sensazione, fin troppo concreta, che i più deboli siano ancora una volta stati dimenticati.
Non servono proclami, serve attenzione. Non servono promesse, serve rispetto. Perché una democrazia che non sa abbassare una rampa, è una democrazia che alza barriere invisibili ma reali. E il voto, così, non è più un diritto: diventa una fatica.