Ci sono atleti che vincono. E poi ci sono quelli che spostano i confini dell’umano.
Nadia Comaneci, Olimpiadi di Montréal, 1976. Ha 14 anni, non dice una parola, ma incanta il mondo con un corpo che danza tra le parallele asimmetriche. Il tabellone, impreparato all’impossibile, segna “1.00”. Era dieci. Il primo dieci perfetto della storia della ginnastica. E da lì in poi, la perfezione ha un nome e un volto.
Poi arriva Jonathan Edwards, britannico con l’aria da chierichetto e la caviglia da molla. Siamo nel 1995. Salto triplo: 18 metri e 29 centimetri. Un volo che spezza il metro come un ramoscello. Nella stessa gara, ne aveva già fatti 18 e 16. Nessuno come lui. Nessuno più su di lui.
E poi c’è Sergey Bubka, lo zar dell’asta. L’ucraino che ha tolto l’aria a chi guardava da sotto. Primo uomo sopra i sei metri. Una volta, poi due, poi dieci, ogni volta di un centimetro in più, solo per il gusto di farlo. Di ricordare a tutti che il limite è una convenzione, non una condanna.
Questi non sono record. Sono punti di rottura. Dopo di loro, niente è più impossibile. E chi dice “non si può fare”, è solo uno che ha smesso di provarci.