Non è fantascienza alla The Last of Us, ma i numeri fanno paura. La candidiasi invasiva uccide fino al 31,4% dei pazienti e quasi uno su due in terapia intensiva dopo un intervento chirurgico. Specie come Candida auris e Candida parapsilosis resistono agli antifungini e si diffondono negli ospedali.
Per discutere di questa emergenza, la rivista Italian Health Policy Brief ha promosso un incontro al Senato con medici, associazioni e rappresentanti istituzionali. Obiettivo: stilare raccomandazioni per rafforzare diagnosi, prevenzione e gestione delle infezioni fungine invasive.
Il professor Paolo Antonio Grossi, ordinario di Malattie infettive all’Università dell’Insubria, non ha dubbi: «I laboratori di microbiologia dovrebbero rafforzare le proprie capacità diagnostiche, considerando che non tutti dispongono di un’esperienza micologica avanzata. L’impiego di strumenti diagnostici molecolari e rapidi consentirebbe diagnosi tempestive anche in contesti meno specializzati, permettendo così di avviare precocemente i trattamenti e ridurre significativamente la mortalità».
Ma il problema non è solo tecnico. Lo ricorda il professor Marco Falcone, del direttivo Simit: «La principale problematica a livello italiano in tema di infezioni fungine invasive e antimicrobico-resistenza è la carenza di un’adeguata cultura tra i medici e di una sufficiente consapevolezza tra i cittadini. I farmaci antinfettivi sono spesso prescritti in maniera inappropriata, sia sul territorio che in ospedale. Inoltre, tra gli stessi medici troppo spesso manca la consapevolezza delle gravi conseguenze legate a un loro utilizzo scorretto».
Altra falla: il coordinamento tra ospedale e territorio. Senza un’integrazione reale, la prevenzione resta sulla carta e i pazienti vengono trattati a macchia di leopardo.
Sul fronte dei cittadini è intervenuta Valeria Fava di Cittadinanzattiva: «Il nostro impegno in questo campo viene da lontano. Per innescare un cambiamento culturale è fondamentale che i cittadini/pazienti sviluppino un maggior senso di responsabilità, collaborando attivamente con le istituzioni, il cui impegno sull’antimicrobico-resistenza si sta rafforzando».
Gli esperti lo ripetono: servono diagnosi rapide, più formazione, consapevolezza e regole chiare. Perché non si può affrontare un’epidemia silenziosa con armi spuntate.